martedì 8 luglio 2014

La Grande Fuga (un po' a vanvera)

Quella che segue è una recensione di una recensione. Eugenio Scalfari parla di un libro di Enzo Restagno dedicato a Schönberg e Stravinsky: "Schönberg e Stravinsky. Storia di un’impossibile amicizia". Premetto: non ho letto il libro ma solo l’articolo, apparso su l'Espresso il 4 luglio. In ogni caso, uno dei più importanti giornalisti d’Italia parla di musica moderna, e la cosa è talmente rara da fare scalpore in sé. 

Purtroppo, l'articolo mostra una qualche incongruenza, per non dire di peggio. Il riassunto che segue, nonostante i pochissimi virgolettati, è una trascrizione fedele dall'originale di Scalfari, ad eccezione dei miei commenti che, a scanso di equivoci, ho sempre messo tra parentesi. L'articolo è fatto di salti logici e incongruenze divertenti.

Il testo è disponibile qui (si può accedere a una versione in anteprima connettendosi con un Facebook, Google+ o Twitter).

Leggiamolo insieme. Il libro di Restagno viene presentato come una novità editoriale. Di taglio storico, edito dal Saggiatore. Schönberg e Stravinsky sono stati il principio di una grande rivoluzione, quando sembrava arrivato il tramonto della modernità. Questa modernità, rappresentata da scrittori come Pessoa, Mann e pittori come Picasso e Matisse, sembrava morta. 

Grazie a Schönberg e Stravinsky la modernità ha continuato a esistere, come risultato di un processo cominciato con Diderot, Voltaire e i balletti d’Opera (Schoenberg e Diderot? Può pure esserci un nesso, ma la relazione sarebbe da spiegare). Scalfari parla in seguito del vicolo cieco dell’avanguardia: la religione sembra attualmente l’unico elemento di novità (???), mentre la musica è al centro del degrado moderno della creatività (!!! – Ma se Grisey, che forse qualcosa ne sapeva, diceva che la musica non è mai stata così viva come dopo la fine dello schönberghismo?). Riusciremo a rialzarci? – si domanda Scalfari; senza dirci da dove (dal degrado?). Forse non riusciremo – si risponde – poiché il tempo è in buona parte già trascorso, e abbiamo ancora a disposizione solo un secolo (ma come: un secolo? E perché un secolo? E non mezzo, o quattro, o venti?). 

La musica è cambiata con Schönberg e Stravinsky, ma non solo: anche la tempistica (che in musica non vuol dire assolutamente nulla, e non si capisce che cosa Scalfari intenda), la strumentazione, l’armonia e i generi. Una rivoluzione paragonabile al Kafka del "Processo" o al Pessoa del "Tempo dell'inquietudine" (che purtroppo in libreria non si trova, sostituito dal suo succedaneo, il "Libro dell'inquietudine"). Scalfari ricorda che uno dei due Nostri era di vent’anni più vecchio, ma che il più giovane morì molto prima (e questa non è un'incongruenza, è un errore madornale: Schoenberg nasce nel 1874 e muore nel 1851, Stravinsky nasce nel 1882 e muore nel 1971: il più vecchio muore molto prima!). Pare che S. e S. fossero amici, ma non a lungo. Solo Nono proseguì il loro discorso (Nono che continua Stravinsky?); però purtroppo l’etnia non vive di geni, ma di storia (e questo che vuol dire?). 

Scalfari continua, notando che S. e S. non ignoravano il passato. Per esempio conoscevano la Grande Fuga di Bach (e che peccato che tale capolavoro sia andato perduto – esiste però una "Grande Fuga" di Beethoven: si riferirà a quella?). Su Mozart, Scalfari appunta che "non c’è autore che non abbia saputo innovare in tal modo, così perfettamente compiuto" (grazie, Scalfari). Dopo la "Grande Fuga" di Bach c’è Beethoven (ce lo eravamo dimenticati tutti!), e poi Schubert, che continua il classicismo, anche se "non fa parte di questo filone della storia" (quale filone?). Ne fa parte invece Chopin (e perché?), con i suoi magnifici quartetti (che tutti studieremmo più che volentieri, se esistessero). Mahler anche, che aprì la strada all’innovatore vero, Debussy.

Scalfari trae le sue conclusioni sconsolato: purtroppo dopo S. e S. c’è stato solo un ripiegamento, forse senza sbocco. Soprattutto dopo la morte di Abbado. (Detto da un uomo di tale cultura c’è veramente da preoccuparsi.)

(A uso e consumo di coloro i quali tra i nostri lettori pensassero ancora, dopo questa contro-recensione, che Scalfari abbia ragione, segue un breve e lacunoso bignami di capolavori, largamente riconosciuti.)

Berio – Sinfonia (1968-1969)

2 commenti:

  1. Caro Eric,

    Ricordo che Scalfari aveva già espresso la sua luminosa concezione dell'arte moderna in un articolo su "la Repubblica" di qualche anno fa (credo il 2007) a modo suo esilarante, in cui si avventurava addirittura a scrivere sulla Sonata op. 111 di Beethoven: a proposito della quale, sbagliandosi un pochino con le date, suggeriva che aveva solo (!) quei due movimenti perché il povero Beethoven non c'era riuscito, a finirla.
    E sentenziava:"poi, il silenzio", riferendosi al nostro tempo (o piuttosto, al suo).
    Che bellezza.
    E' vero che questa di Scalfari è soltanto una dimostrazione particolarmente eclatante del fatto che in Italia addirittura degli intellettuali non si vergognino ad esibire, con la musica, un'ignoranza e una superficialità che in qualsiasi altro campo della cultura normalmente li esporrebbe al ridicolo.
    Per fortuna, non è sempre così.
    Detto questo, naturalmente ognuno ha il diritto, se così gli piace, di sostenere e di cercare di dimostrare (se ne è capace) che "la musica è finita, l'arte è finita, la vita è finita" et similes amoenitates: in ogni epoca c'è sempre stato qualcuno a dirlo, perché mai non nella nostra?

    Un abbraccio,

    Stefano

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  2. Il problema vero è che lo Scalfari "filosofo", lo Scalfari "politologo", lo Scalfari "economista" e infine lo Scalfari giornalista non sono meno approssimativi, incompetenti, goffi, stilisticamente ed esteticamente improponibili, dello Scalfari "musicologo"...

    Saluti cordiali

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