lunedì 19 maggio 2014

Manifesti

Ammetto di essere stato notevolmente colpito dalla dichiarazione d'intenti e dal manifesto della SIMC, che sono stati pubblicati tra i commenti al recente post di Marco Momi, e che non conoscevo. Non voglio perdermi in perifrasi: credo che questo manifesto sia obsoleto e pericoloso. Vorrei cercare di spiegarvi perché e, per una volta, spulciarne le criticità, provando magari a proporre qualche alternativa. Trovo anche bizzarro che questi testi (dichiarazione d'intenti e manifesto), giunti su queste pagine direttamente da un socio della SIMC, Dario Agazzi, non si trovino da nessuna parte online – tanto meno sul sito stesso della SIMC.

Devo però fare due premesse.

Prima di tutto: prendo questo testo perché mi pare emblematico, ma lo considero più un sintomo del problema che il problema in sé. Visto che, a quanto ci è stato detto, la SIMC non riceve alcun contributo pubblico, questo post non riguarderà in alcun modo il problema della ripartizione dei soldi nella musica contemporanea, di cui Marco ha approfonditamente parlato. In ogni caso la SIMC è l'organo italiano aderente all'ISCM (International Society for Contemporary Music), e annovera tra i suoi soci molti importanti compositori italiani di oggi; vale quindi la pena, penso, chiedersi se il manifesto che ci rappresenta nel mondo sia un buon manifesto.

In secondo luogo: in questo tentativo di rilettura lascio volutamente da parte le critiche alla prosa e ai toni dello statuto. Probabilmente è uno statuto molto vecchio (la prosa sembra quasi inizio-novecentesca…) – in ogni caso non posso fare a meno di chiedermi se tra i vari importanti compiti della SIMC non debba esserci anche quello di mettersi al passo con i tempi (statuto compreso).


Al netto della prosa, quindi, l'incipit della Dichiarazione di intenti è più che lodevole:
La SIMC - secondo quanto sancisce il suo Statuto - dichiara di non svolgere il compito della promozione economico-professionale del Socio-individuo. Scopo principale, primario e primigenio della SIMC è il sostegno della musica d'arte del presente riferito al contesto sociale: nel quale il predetto sostegno si attua. Nell'additare la natura "non lucrativa" della Società (non riceve alcun contributo pubblico) si conferma che la SIMC non si asterrà mai dal sostenere i propri Soci (compositori e/o interpreti che siano) con tutti i mezzi a sua disposizione ma con strategie aliene dall'essere repliche sindacali, surrettizie agenzie di lavoro e occasione di diffusione di musiche di discutibile qualità. 
Diventa più opaca subito dopo:
I benefici del Socio-individuo scaturiranno dalla sensibilizzazione del contesto sociale negligente nei confronti di una musica d'arte non motivata da fini consumistici. Nell'esercizio di tale azione restaurativa di interessi musicali non mercificabili s'inserisce il vantaggio del Socio-individuo: nella proficua scia di una navigazione verso la rinascenza della musica d'arte il Socio opererà in un contesto più attento al valore molteplice della musica d'arte.
Che cosa sono i fini "consumistici"? I Beatles erano e sono musica di consumo. Mozart, Beethoven, Wagner, Strauss sono oggi musica di consumo. I Radiohead e Björk sono musica di consumo. Una visione come questa mi sembra polverosa, e non possiamo semplicemente più permettercela. È chiaro che Lachenmann non venderà mai quanto Lady Gaga, ma una distinzione tra "musica che ha fini consumistici" e "musica d'arte non pensata per il consumo" mi pare oggi troppo opaca, o naïf, o pretestuosa. Ho comprato recentemente il DVD di "C'è musica e musica" di Berio, che della SIMC era un importante socio onorario; vorrei che certe opinioni avessero lasciato un segno più ampio.

C'è di più. Sappiamo perfettamente che ascoltare buona musica non ha prezzo, ma forse è venuto il momento anche per noi di smettere di pensarci avulsi da "interessi musicali non mercificabili". Intendiamoci: non sto parlando di inchinarsi, svendersi al mercato, sto dicendo che c'è un nuovo tipo di relazione da cercare perché, volenti o nolenti, i cardini su cui si regge il sostegno pubblico (quando esiste) alla musica stanno cambiando. Altri tipi di arte (penso all'arte visuale in primis) hanno individuato paradigmi - per molti versi - vincenti. Forse è il momento di mettersi in questo campo?

(Per inciso: un compositore ha tutto il diritto di fregarsene di questi problemi. Ma per l'ordinaria emergenza, forse in questo momento servono più le formiche dell'oggi che i visionari del domani. Ma andiamo avanti con la dichiarazione.)
Pervenire ai risultati additati occorre rifarsi, declinandola, alla celeberrima enunciazione kennedyana: che cosa può fare il Socio per la SIMC piuttosto di che cosa può fare la SIMC per i Soci? Soltanto con una positiva risposta al primo quesito si potrà agire efficacemente in un contesto sociale ed economico che disdegna un'arte che vorrebbe anche piacere ma non compiacere.
Al di là della stucchevole retorica, la verità è che una SIMC moderna dovrebbe preoccuparsi di fare molto più di quanto il singolo socio abbia mezzi o possibilità per fare. 
Dovrebbe ad esempio preoccuparsi di essere interfaccia con quel mondo "mercificato" di cui parlavo prima: quel mondo che ascolta quotidianamente Björk, che non si perde un'installazione di Anish Kapoor né una mostra di Gerard Richter, e che ha sicuramente la curiosità e anche l'intelligenza per poter apprezzare Grisey o Romitelli. Dovrebbe preoccuparsi di scegliere ed usare, con astuzia ma anche con decisione, figure come quella di Romitelli come passepartout per allargare gli orizzonti. Dovrebbe fare uno stato dell'arte periodico della creazione musicale in Italia. 

Dovrebbe anche fare qualcos'altro, ma ne parlerò più oltre. Passerei invece al manifesto (detto per inciso: l'unico manifesto, a mia memoria, scritto al passato remoto):
La SIMC sorse negli anni Venti del secolo scorso. Sorse anche come vitale risposta alternativa all'epigonismo del melodramma: estinto con l'estinzione della tonalità, ultimo codice compositivo capace di consentire melodia e armonia in reciproca simbiosi.
La tonalità mi pare ben lungi dall'essere estinta (basti pensare a uno qualsiasi degli artisti citati sopra). Questa frase mi pare d'altronde inizio-novecentesca. Dire, in più, che non esistano altri codici compositivi in grado di consentire simbiosi di armonia e melodia mi sembra quantomeno azzardato (ma il Pierrot Lunaire? O Berg? O Debussy? O Stravinsky? Boh… forse sono io che non colgo qualcosa…).
Sorta con intenti anticonformistici la SIMC attraversò la storia della musica d'arte italiana mai rinunciando ad essere interprete di esigenze nuove.
Vorrei leggere questa frase coniugata al futuro, e vorrei che un'istituzione moderna si facesse appunto carico oggi di esigenze nuove!
La onnipervasiva presenza della musica di consumo sospinse i compositori colti in un angolo sempre più stretto nel quale si ritrovarono molti compositori che con il sorgere delle neoavanguardie musicali non si posero il problema della ascoltabilità della musica d'arte e si consegnarono talvolta al solipsismo o addirittura all'autismo.
Questo mi sembra ben condivisibile. Certamente è anche cambiata velocemente la società intorno ai compositori.
Problema centrale dello smarrimento di una collettività di fruitori fu la errata enunciazione del problema della comunicazione. La difficile e/o impossibile accostabilità della nuova musica d'arte fu correttamente percepita come votata alla negazione della comunicazione. Si posero pertanto in atto tentativi di comunicazione: anzi di volontaristica comunicazione. Tentativi fallaci.La nuova SIMC ripropone un'aurea soluzione che fu la soluzione adottata dai grandi compositori di ogni epoca. Della comunicazione non s'ha da occuparsene, essendo impossibile ad essa sottrarsi.
Sentenza pilatesca – della comunicazione invece s'ha d'occuparsi eccome. Se non ce ne si occupa, ci si ritrova con concerti bellissimi con 15 persone in sala. Iniziamo ad esempio ad occuparci di una promozione e pubblicità adeguata. Forse il manifesto ha ragione: non sono i compositori a doverlo fare… ma magari non potrebbe essere (anche) questo uno dei compiti della SIMC? Iniziamo a spendere per la promozione il 10-15% del budget di ogni spettacolo o festival. Quante istituzioni o ensemble lo fanno? Capisco i vincoli: i concerti già non sono molti – che vogliamo fare, diminuirli ancora? Però forse vale la pena di toglierne il 20%, e di pubblicizzare più invasivamente il restante 80%.

Intendiamoci subito: pubblicità non vuol dire affiggere un grande manifesto nero con programma di concerto e nomi degli esecutori. E non vuole nemmeno dire mandare a una mailing list di interessati quello stesso manifesto, in formato digitale. Queste sono comunicazioni di servizio. Pubblicità vuol dire arrivare al pubblico in modo accattivante, patinato, divertente, ammiccante. E nessuna di queste qualità è in contrasto con l'aggettivo "intelligente". Di più: questo è un importantissimo ruolo sociale; non possiamo vederlo come un attentato a quello che facciamo.
Nessuno di noi vive sulle nuvole: usiamo gli strumenti a nostra disposizione per appassionare le persone. Noi ci mettiamo passione: ma sappiamo trasmetterla? C'è gente che di mestiere aiuta esattamente a fare questo, e che che lo fa quotidianamente per altre arti. C'è gente che (soprattutto all'estero) inizia a farlo anche per la nostra musica. E noi che cosa possiamo fare?

La negazione della comunicazione si converte infatti in comunicazione della negazione. Stravinskij lo scrisse additando la ricerca della comunicazione o il suo diniego come attività extra-compositiva se non addirittura anticompositiva. Non compete al compositore essere o non essere comunicativo. Chi si attardasse a voler essere o non essere comunicativo esorbiterebbe dal proprio far musica. La musica ha solo da essere bella e ben fatta.
Non amo questi sofismi. Decliniamo il problema in due parti. Posso concedere a questo manifesto che compete al compositore di scrivere bella musica e nient'altro (e il "nient'altro" lo concedo un po' a fatica, nella società di oggi…). Compete però allora alla SIMC, anche in base al suo statuto (articolo 1, articolo 3), di occuparsi di tutte le infrastrutture logiche, sociali, politiche, per permettere, promuovere – e, forse aggiungerei, produrre – questa musica. La SIMC dovrebbe essere un'interfaccia tra compositore, musicisti e mondo.

Ma un'interfaccia di oggi può essere uguale a un'interfaccia di trenta, venti o anche solo dieci anni fa?

Compiti di quest'interfaccia dovrebbero secondo me includere pubblicità e marketing (vedi sopra), ma anche educazione all'ascolto (uno degli obiettivi della SIMC non dovrebbe essere fare tutte le possibili pressioni per introdurre lo studio della musica in tutti i licei?), organizzazione di appuntamenti, convegni, armonizzazione delle attività degli ensemble. L'educazione all'ascolto è fondamentale. Non è più ammissibile che uno studente delle scuole superiori conosca per lo meno approssimativamente la differenza tra Manet e Monet, ma non abbia mai sentito una sinfonia di Beethoven – e che probabilmente nemmeno sappia che cos'è una sinfonia. Perché non c'è nemmeno un accenno alle parole "scuola", "allievo", "educazione" o "ascolto" nello statuto della SIMC?

Di più: la SIMC dovrebbe anche occuparsi di promuovere e diffondere la musica italiana all'estero. Perché perfino nei paesi a noi vicini (e cioè in Europa: a casa nostra!) nessuno conosce quasi nulla di ciò che gli ensemble italiani fanno regolarmente? Questo è un dato di fatto. E dire che questa attività di promozione è inserita nel già citato articolo 3 dello statuto (punto C); visti i risultati, mi sembra un obiettivo finora fallito.

Chiunque abbia seguito queste righe fino a qui potrà giustamente rimproverarmi di fare le pulci alle singole parole o alle singole frasi. Ma nessun manifesto è solo semantica. Dietro alla prosa e alla scelta di linguaggio si nascondono aperture, prospettive, problemi. E allora penso che un manifesto per una SIMC moderna dovrebbe avere piuttosto un andamento di questo tipo:

La SIMC è la società italiana di musica contemporanea, e si propone di promuovere e diffondere quella parte della musica d'oggi che non è ascrivibile ai canali di produzione di generi come pop, rock o jazz, e che per convenzione chiamiamo "musica contemporanea", benché i confini tra i generi siano labili, e ferma restando la necessità di ricercare relazioni "in orizzontale" tra le musiche dell'oggi. 
Problema centrale è lo smarrimento di una collettività di ascoltatori con cui relazionarsi. Per cercare di porvi rimedio, la SIMC ritiene irrinunciabile adottare, in maniera intelligente, misure di promozione, marketing e pubblicità avvincenti, invasive, accattivanti. A queste misure la SIMC accosta una indispensabile missione per una nuova educazione all'ascolto, che deve passare necessariamente attraverso la reintroduzione, almeno nei licei, dello studio della storia della musica.
La SIMC si occupa anche di produzione e sperimenta nuove forme di diffusione musicale (sonificazione urbana, musei musicali, installazioni) e proponendo regolarmente a province e comuni italiani una programmazione armonizzata a basso costo.
La SIMC è attenta all'elettronica, all'informatica musicale, alle nuove tecnologie, alla nuova liuteria, all'interattività, e favorisce gli scambi tra musicisti e ricercatori. La SIMC è aperta all'integrazione tra musica e arti visuali, e pianifica collaborazioni con produttori cinematografici o multimediali, compagnie di danza, gallerie d'arte, musei. La SIMC vede in internet una potenzialità per l'insegnamento e la promozione musicale; progetta siti concepiti come strumenti per la didattica e per la diffusione, commissionando pagine a compositori, scrittori e web designer. 
La SIMC organizza ogni due anni il Festival del Suono, durante il quale per tre settimane una città a rotazione viene invasa da concerti, incontri, installazioni, lezioni, laboratori, seminari per le scolaresche. Il festival è anche il momento in cui gli addetti ai lavori hanno modo di relazionarsi direttamente con pensatori, intellettuali, scienziati, scrittori, giornalisti, critici, coreografi, poeti, registi.
Mi fermo qui. Va bene, ve lo concedo: questo non è un inizio di manifesto, è un libro dei sogni. Ma voi che ne pensate?



P.S. Uh, quasi dimenticavo un ultimo punto – la SIMC ha deciso di cambiare nome, e di lanciare un sondaggio collettivo per trovarne uno molto più figo! :-)

4 commenti:

  1. rispondendo alla domanda finale, dico: sì, pare un libro dei sogni riscritto nell'ultima versione, ma di quei sogni che possono essere fatti ad occhi aperti, dove la coscienza rimane vigile e regola la realisticità del sogno stesso, perciò concludo citando Frankenstein Jr., "s-i p-u-o' f-a-r-eeee". Aggiungo infine, se mi fosse mai chiesto, che eviterei parole come marketing, promozione, pubblicità; bensì dei "sinonimi", perchè lo spèrpèro di certe parole negli ultimi anni, in altri canali, ha già (tranne per il manifesto in questione :) ) svuotato l'ottimo e condiviso significato originario a cui si fa riferimento in questo post pubblicato dal blog.

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  2. Caro il mio Ghisi, una società di musica contemporanea così non sarebbe affatto male, davvero.
    Non ti resta che fondarla.

    Per il nome opterei per un SISMI (società italiana servizi musicali integrati).
    Se invece avessi paura di venire rapito, consiglierei un SCISMI (Società di Compositori e Interpreti per i Servizi Musicali Italiani). O un SCISMA, se il singolare ti si confà maggiormente (in questo caso la risolviamo con un Società Compositori Italiani per il Suono, la Musica & l'Ascolto).

    cordialità,
    Giovanni

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  3. Grazie Daniele del post molto molto bello. Per altro da quando citiamo la SIMC sul blog vedo cha hanno finalmente aggiornato il sito e messo un organigramma. Mica male! Bello il libro dei sogni. A me però manca sempre un passaggio..perché definiamo quello che facciamo sempre in maniera negativa (non è rock, non è pop,ecc)? Sarebbe bello cominciare col dire che: facciamo musica..., che ne so, che si evolve nell'evoluzione dell'incontro tra ascolto e scrittura, pensiero e costruzione, rappresentazione del suono e utilizzo di notazione ecc.; insomma siamo compositori!

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  4. Ciao Eric, hai ragione, anche io avevo la tua stessa limitazione quando scrivevo quelle righe, e la tua frase mi sembra un incipit ben migliore. Accettata più che volentieri per una versione 2.0 del manifesto dei sogni!

    Grazie anche a Jacopo: capisco il tuo punto – se vuoi per me era anche, in parte, una questione di principio: non possiamo lasciare parole etimologicamente "sane" come "promozione" e "pubblicità" ad appannaggio solo di un utilizzo sfuocato. Ma probabilmente hai ragione tu, ed è una battaglia persa - qualche sinonimo forse è più efficace.

    ...E grazie a Giovanni per gli acronimi esilaranti! :-)

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