lunedì 16 gennaio 2017

Il Tempo che non ho

Più di anno fa è nata mia figlia, e il calendario non si sbaglia. Mia figlia è da diciannove mesi insieme a noi - senza considerare la gravidanza di mia moglie, beninteso. Non fraintendetemi: la gravidanza non è durata diciannove mesi, non siamo mica degli elefanti - anche se credo che la gestazione di un pachiderma sia più lunga.

Nonostante la lunghezza di questo lasso di tempo, ho come l’impressione che tutto sia imploso.



Il tempo si è accorciato, o scorre più in fretta. Ogni giorno è più corto perché è riempito dalle mille cose da fare per crescere la mia virgulta (declinato al femminile): latte, pannolini, pappe, pomate, ciucci, sapone, bodies, scarpine, passeggini, asili, peluches, dentini, passettini, bagnetti, cacche, vasini, malattie infettive - non necessariamente in quest'ordine. Senza contare il tempo consumato per parlarle, consolarla, educarla, giocare con lei, sorvegliarla, accompagnarla - amarla - stringerla.

Quello che resta della giornata si polverizza in altre faccende la cui utilità varia dall’indispensabile personale - mangiare, dormire, assolvere alle funzioni corporali, curarsi -, all’indispensabile interpersonale - il rapporto con mia moglie, in primis -, all’importante materiale - insegnare per sopperire all’indispensabile di cui sopra, comperare il cibo, gestire l’ambiente domestico -, all’importante immateriale - leggere, ascoltare musica, e corollari vari, come scrivere questo post il giovedì sera prima di collassare sul letto. Il giovedì pomeriggio passo l’aspirapolvere, per chi non lo sapesse.

Durante l’estate godevamo di molte più ore di luce per fare tutto questo. Si andava persino al parco a fare lo scivolo e a contare i piccioni - non chiedetemi perché. Ora siamo in inverno, e le giornate si sono ristrette - e Totò diceva che quando c’è il restringimento, sono dolori. Di conseguenza, la situazione diventa ancora più complessa. Incasinata, per dirla giusta. 

Già. Il tutto si riassume in una domanda: « quando è che compongo? »

« Nei ritagli di tempo. » « Ahahahaha, bella questa », ribatterebbe un alter-ego, aggiungendo « perché ne hai? » senza pietà.

No, ecco, in effetti dei ritagli non ne ho. Se mi occupo di mia figlia non penso di certo ai campi armonici microtonali piramidali bruitisti - peraltro, mai ci ho pensato. Penso piuttosto che se non telefono alla pediatra per tempo col cavolo che riuscirò a prendere un appuntamento in giornata. Altro che Piramidi. Altro che la Valle dei Re (diesis). Altro che la tomba di Tuthankamen. Piuttosto, mi colpirà la maledizione del mitico Faraone, quella che afflisse quell’archeologo che ne portò alla luce, temerario, il sepolcro - e tutti sanno che dopo quella scoperta la vita dello studioso si accorciò terribilmente, funestata da incidenti degni di un film dell’orrore di ultima serie, e che portarono al suo terribile decesso: Howard Carter morì a 65 anni tra atroci sofferenze. 



Invece Elliott Carter ci lasciò alla veneranda età di 104 anni, numero stranamente non divisibile per 12. Probabilmente la composizione allunga la vita.



Probabilmente non per tutti. Quando finalmente riesco a trovare un lasso di tempo appena più lungo di venti minuti per poter comporre, non è dato per certo che il lavoro compositivo compiuto con così tanta fretta possa aver prodotto qualcosa di vagamente accettabile per le orecchie, figurarsi per il cervello - qualunque cosa ciò significhi. Quel che si raccoglierà da si’ tanto modesto sforzo saranno sparuti frammenti musicali che di musicale hanno ben poco, e che farebbero inverdire di rabbia qualunque insegnante di composizione. 

Mi immagino la scena. 

Personaggi: 

prof. qualunque_insegnante_di_composizione, qui indicato come Prof. QUINDICO.
il fannullone allievo Sarto, qui indicato come ILSARTO.

Scena: l’aula 42 del Conservatorio G.B. Martinů di Boulogne sur mer, un pianoforte, uno sgabello, una sedia. 

Il prof. QUINDICO siede da tre ore allo sgabello del pianoforte, non per suonare, ma per rifare gli orari delle lezioni degli allievi per la trentasettesima volta osservando il planning posato sul leggio. QUINDICO non è pensieroso, ma ha mal di testa. Aspetta stoicamente che il suo ultimo studente della giornata si degni di arrivare per la lezione, cosa che non ha fatto dal mese di aprile.

ILSARTO irrompe trafelato in aula, in tuta macchiata di latte materno e con gli infradito del cognato. Ha una borsa della Coop piegata che estrae dalla tasca. La svuota e gli cade per terra un foglietto pentagrammato con scarabocchi incomprensibili. Lo raccoglie e lo porge speranzoso al professore.

QUINDICO lo guarda, toglie il planning dal leggio, vi pone sopra il foglietto pentagrammato, e comincia a leggerlo con sguardo fra il torvo e il rassegnato.

ILSARTO: « Ecco, qui vede, ho usato l’inversione della serie piramidale di Carter. Mi piacerebbe strumentarla coll’organo. Secondo lei, il prof d’organo potrebbe suonarlo per il saggio di fine d’anno? ».

QUINDICO - continuando a fissare il foglio - : « Il saggio era ieri. Oggi è il 19 di giugno. »

ILSARTO: « Quindi posso usarlo come materiale per il diploma? Sa, non ho avuto tempo di lavorarci. Mia figlia… »

QUINDICO alla parola « figlia » gli viene la bava alla bocca, e una vena gli si gonfia in fronte.

ILSARTO esce dell’aula 42 temendo per la sua vita.

Il foglietto pentagrammato prende fuoco per autocombustione.

FINE

Ora che non seguo più corsi di nessun genere non posso certo affermare che la qualità del mio comporre sia sostanzialmente diversa da quella evocata sul foglietto spiegazzato.

« Si fa quel che si può » direte voi. « E grazie al cavolo » dico io.

Il fatto è che nessuno ha colpa di questo. Perché la colpa non c’è. Se chiamiamo come T il periodo in ore che corrisponde alle ore di veglia, e dunque quelle corrispondenti alla fase produttiva di un essere umano adulto di età più vicina ai cinquanta che ai venti, e come Tf il periodo dedicato alla figlia, come Tl il periodo dedicato al lavoro, come Tm il periodo dedicato alla moglie, e infine come Tr il periodo dedicato alle robe materiali e ai suoi vari corollari, e se allora Tc è il tempo dedicato alla composizione, allora abbiamo che :

Tc = T - (Tf+Tl+Tm+Tr).

Purtroppo si sa che Tf è una costante universale, e che le variazioni di Tl, Tm e Tr sono dell’ordine dei numeri interi, in genere piccoli. Tc nei casi limite tende a 0. Lascio ad Andrea Agostini risolvere la matematica, come d’uopo.

D’altronde è così il tempo del pensiero compositivo. Lavoro sule idee, sui progetti, sulle note e sui processi quando non mi occupo di mia figlia. Scrivo sul treno per andare al lavoro. Scrivo alla sera se non sono troppo stanco - ma purtroppo lo sono, e quindi preferisco andare a letto. Scrivo quando sono in vacanza e non mi occupo di altro. Scrivo quando c'è silenzio in casa. Scrivo quando sono davvero da solo. 

Ecco, per questo non è cambiato nulla rispetto al "prima". "Prima" lo scrivere occupava spazi più larghi. Ora ingombra spazi più limitati. Il discorso musicale si condensa in atti di scrittura che prendono poco spazio, che prendono poco tempo. Comincio una partitura, e rileggendo le note scritte mi accorgo a posteriori dei momenti in cui mi alzo dalla scrivania per cambiare mia figlia e dei momenti in cui mi risiedo sei giorni dopo sul treno per riattaccare il lavoro lasciato. Con buona pace della « Momenteforme » o delle forme « a pannelli ».

Forse il mio cervello continua a scrivere in parallelo, nascosto, in modalità sotterranea, mentre svolgo le attività quotidiane. Forse ci lavoro lateralmente, inconsciamente, e quando finalmente riesco a piazzarmi davanti al foglio o al computer, allargo semplicemente il campo d’azione - o forse no, forse non è cosi’ semplice come vorrei farmi - e farvi - credere.

Quello che non deve fare un compositore, io lo faccio. Remo contro la deontologia. Non ho il sedere appiattito dalle ore sedute davanti al tavolo, ma ho la schiena a pezzi dal raccogliere giocattoli  - e bambina - caduti a terra. Non sono un compositore costante, ma interrompo pericolosamente i ragionamenti quando mia figlia mi chiama per giocare. Non ho taccuini di riserva, ma leggo il libro dei tre porcellini a ripetizione. Non ho pezzi nel cassetto, solo body e t-shirt su misura. A volte navigo a vista, specialmente quando mia figlia prende il bagnetto e mi fa cantare « petit escargot / porte sur son dos / sa maisonnette / aussitôt qu’il pleut / il est tout heureux : / il sort sa tête ». 



Provo ad organizzarmi, e spero di potercela fare. Ne ho bisogno. Non solo per me, ma anche per i miei cari. 

Non ho nessun rimpianto, comunque. Mi va benissimo così.

Perché tutto si allarga, quando mia figlia corre sul prato.

7 commenti:

  1. caro andrea, questo post è limpido e sincero. fa piacere leggere note personali come queste, scritte senza narcisismo. mi chiedo però se un po' non sia un rifugio, il tuo: il rifugio nella propria famiglia perché comporre - allo stato attuale - pare qualche cosa di osteggiato, da tutti o quasi. comporre contro tutto. io meno una vita assai diversa dalla tua: non sono né sposato né ho figli, né prendo il treno se non per viaggiare. non ho idea di come sia possibile conciliare il proprio lavoro di compositore con il lavoro di marito e padre. deve essere complicato. eppure pare anche a me che il tempo per comporre non ci sia. è il tempo presente a sottrarre il tempo necessario? cari saluti, dario

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    1. caro Dario, non lo so. Tempo fa abbiamo chiesto a una coppia di amici come facevano ad organizzarsi con due figli piccoli, e se non erano troppo stanchi o oberati dalle mille faccende quotidiane. Ci hanno risposto che non lo sapevano ma che lo facevano. Credo anche io di fare più o meno la stessa cosa... Cari saluti.

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  3. Non so se questo blog sia ancora vivo, ci sono capitato per caso.
    Cmq Andrea, ci siamo passati tutti. Io ho fatto quasi tutta la vita non solo un figlio ma anche 4,5 lavori contemporaneamente, con una moglie che non ha mai lavorato (chissà perché).
    In verità Andrea il problema non è la figlia ma la necessità interiore. Siccome il talento ce l'hai, il vero peccato è che tu ti sia fatto piallare il cervello dal decostruzionismo nichilista germano-parigino invece di seguire la tua vera voce, senza plagi mortiferi. Lucaf

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  4. Caro LucaF,

    Cerco di risponderti come posso, in modo forse disorganico, e forse fin troppo autobiografico. Ma tant'è, il post che hai commentato è centrato sul personale, e quindi mi ci attengo anche in questo intervento. E comincio con una battuta sartesca per alleggerire un po' il tono :

    Ti credo che tua moglie era disoccupata se tu facevi 4 o 5 lavori contemporaneamente! ;)

    Scherzi a parte, hai perfettamente ragione quando dici che ci siamo passati tutti. E devo aggiungere che ora va molto meglio : mia figlia quattrenne va a scuola, le mie giornate sono di gran lunga più organizzate e avendo optato per un orario di lavoro più leggero in conservatorio, riesco - infine! - a scrivere ogni giorno, tutti i giorni: lo spazio per farlo esiste. Insomma sto uscendo con la testa fuori dall'acqua.

    Fai bene anche a citare la "voce interiore" - Gervasoni la chiamerebbe "la sacra fiamma" (almeno, ricordo che ne parlava in questi termini). Da quel che ne so, ci sono pochi compositori / compositrici che ne evocano pubblicamente la presenza - ma magari mi sbaglio. So bene di cosa parli, anche se forse per pudore o rispetto non ne ho mai discusso in questa sede (se vuoi puoi benissimo fare un intervento sul tema). Ne sento la voce, e nelle contingenze presenti, la lascio uscire. Sono sicuro che tu faccia altrettanto.

    A questo punto il discorso si sposta appunto sulle "contingenze". Non so com'era la situazione venti o trent'anni fa per i compositori che hanno lavorato in quel periodo. Per quel che mi riguarda mi pare che, e conosco un po' la situazione francese, il contesto sociale ci chiede di essere al top in ogni ambito : dobbiamo essere dei padri top, dei mariti top, degli insegnanti top, dei compositori top. I social media un po' spingono perversamente in quella direzione, o quantomeno lo mostrano : basta pensate solamente alle foto di "today office" (di scrivanie di mogano, sulle quali giacciono pornograficamente partiture in fase di lavorazione, con corredo di matite MontBlanc a seicento euro a pezzo, piazzate davanti a finestre con chiarissima vista su chalet di montagna imbiancati dalla neve, con prospettiva di prati su cui Bambi e Heidi corrono facendosi di anfetamine).
    Si tratta di una vera e propria gara a mostrare chi è il più fighetto dei prossimi trenta secondi, come all'asilo.

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    1. Insomma, quel che voglio dire, è che siamo sotto una pressione costante, e non è proprio facilissimo districarsi e mantenere un'autonomia di pensiero. Ma sulla relazione fra social media e visibilità del processo creativo bisognerebbe fare una tesi di dottorato in sociologia della comunicazione (oppure un post sul blog... Uhm... let me think about).

      A tal proposito, - del ruolo che le contingenze hanno nello sviluppo della creatività e dell'etica del comporre - ricordo situazioni pedagogiche in cui oltre che alla formazione dei compositori veniva trasmesso un ethos sotterraneo per il quale "se non hai i denti che raschiano il parquet (paragone che si usa in terra francofona), col cavolo che lavorerai". Il che non era proprio nelle mie corde (ma lungi da me pensare che non abbia adottato lo stesso atteggiamento).

      Ad ogni modo, e per tornare al discorso principale, sì, sono d'accordo con te nel dire che la voce interiore non deve essere soffocata dalle contingenze - o dai plagi - , e che forse vale la pena di rivoltarle per darle il maggior spazio possibile (perché è una spinta che non si contiene, e che rode).

      Però ti posso dire che ho fatto delle scelte di vita professionale e famigliare di cui non mi sono mai pentito. Forse, chissà, ho fatto scappare molte opportunità. Ma, paradossalmente, l'ho fatto proprio per ascoltare quella voce. Che mi diceva di agire con prudenza, passo dopo passo, scegliendo con libertà. Anche sbagliando. Anche portandomi in una situazione nella quale attualmente non ho la "certezza dell'impiego", come altri o altre compositrici / compositori più sull'onda (ma poi se ascolti certe musiche di Tizia o Caio ti chiedi perché mai lo sono. E qui rimando all'aneddoto di cui sopra).

      Sono cose che sappiamo tutti. Sono errori o oppure no, a volte non lo sappiamo nemmeno noi - che ci determinano per quello che siamo e che ci danno anche la spinta per non commetterli più e per andare avanti in questo contesto vago della "musica contemporanea", in cui tutti si conoscono, in cui lo spazio si restringe sempre di più (come diceva Totò "quando c'è il restringimento, sono dolori") e diventa sempre di più istituzionalizzato (per cui se non hai fatto la residenza a 21 anni con Tizio e Caia a Roma, Madrid, Fukushima o Chernobyl sei fottuto, etc... e comunque chissenefrega).

      Venendo infine al legame fra "contingenze" e "poetica", posso dirti questo : ho trovato - sto trovando - il mio centro d'interesse compositivo, e che resiste stranamente alle pressioni semantiche franco-accademiche e al teuto-bruitismo deteriore e senza gusto. Che questo stia o non stia trovando spazio per esprimersi, è una faccenda che riguarda la gestione efficace o stupida delle mie "contingenze".

      Sappi che compongo sempre - e comunque - e resisto - continuo a fare questo mestiere (chiamiamolo così se vuoi).

      Grazie ancora per il tuo intervento,

      P.S.

      Vista la testa dura che ho - anche se non sembra - le pialle si usurano prima loro. Su questa tua uscita, che peraltro mi ha piuttosto divertito, rispondo solamente con una frase che sentii proferire da qualcuno : "Sometimes it's nice to be wrong". (E comunque non ti preoccupare. Cerco di mantenere alta l'attenzione :) Alé! )

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