lunedì 29 giugno 2015

Progetto per una disintegrazione del sistema

di Fabio Selvafiorita


...è più facile parlare dell'algebra che del fuoco.”
(John Barth)



La richiesta per un mio intervento in questo spazio giunge tanto inattesa quanto gradita. È molto probabile che gli articoli che vado scrivendo da qualche tempo per L'Intellettuale Dissidente o qualche esternazione da me rimossa devono aver provocato questa domanda. Premetto che non ho intenzione di proporvi nulla di originale. Viviamo in un mondo in cui ognuno si sente legittimato a dire la sua su qualsiasi argomento. Più raro che gli stessi condividano con altri le coordinate culturali di un pensiero. Ho preferito proporvi un percorso quasi ipertestuale tra riflessioni di pensatori ben più autorevoli di me sui fondamenti dell'Estetica in quella che ritengo l'ora più buia della sua storia. Prendete questo scritto così com'è, senza rintracciare intenti sistematici e accettando certe espressioni enigmatiche per quel che possono significare per voi. In ogni caso ringrazio i ragazzi di /nu/thing per l'ospitalità e approfitto di questo spazio per dare ordine pubblicamente a qualche pensiero sparso sulla natura del fuoco. Dell'algebra, d'altronde, già sapete. 


Leggo spesso gli interventi qui sul blog. Delle riflessioni proposte mi hanno molto incuriosito alcune costanti: mi è sembrato spesso di leggere tra le righe un senso continuo di frustrazione conseguenza di quella nozione di crisi di cui “certa musica” dovrebbe essere stata portavoce dal dopoguerra ad oggi. È come se l'autorevole parere di certi pestiferi musicologi e critici - il pestifero è buscaroliano - avesse nel profondo influenzato negativamente la concezione della vita musicale del compositore odierno. Non capisco tutta questa preoccupazione: la musica non è mai stata meglio di così. Non dobbiamo però dimenticare che rispetto al nostro introiettato senso della Storia siamo solo un bel po' più esposti mediaticamente. Questo cambia e influisce notevolmente sulle aspettative e in modo ancora non del tutto indagato nel rapporto tra le nostre opinioni e il nostro giudizio storico.


* * *


Dov'è la Vita che abbiamo perduto vivendo?
Dov'è la saggezza che abbiamo perduto sapendo?
Dov'è la sapienza che abbiamo perduto nell'informazione?

(T.S. Eliot, The Rock)


Le riflessioni di Eric Maestri - in particolare l'affermazione secondo cui vi è necessità di una “riflessione generale sul sistema della conoscenza” - pubblicate nel penultimo post del blog mi hanno fornito lo spunto da cui partire. Maestri, a partire dall'articolo di Croft che non ho letto, propone una chiusa che ha per me centrato il punto nevralgico: - “l'inutilità della composizione come ricerca” - per poi finalmente aprirsi anche ai massimi sistemi - “l'inutilità...forse anche nella scienza...ricerca spinta da ragioni concrete di protezione dell'impiego piuttosto che d'avanguardia” - ma infine sprofondare nella prospettiva del dubbio e dell'inquietudine.

Ragazzi, se si vuole uscire da questa impasse l'unica prospettiva possibile è quella rivoluzionaria. Non nel senso leninista del termine, anche se come da titolo la disintegrazione del sistema è sempre auspicabile, soprattutto oggi. Parlo di rivoluzione nel senso che lo storico della scienza Thomas Kuhn dava al termine. Non perché sia figo citare Kuhn, storico tra l'altro un po' sopravvalutato, ma perché è ormai un fatto assodato che il compositore contemporaneo situi se stesso, la propria pratica e la propria comunità entro una concezione epistemologica della Storia che è propria della Scienza Normale non dell'arte. Mi pare allora che tutte le riflessioni lette sul web o altrove centrino a loro modo l'oggetto della discordia per poi rimanere intrappolate nelle maglie del paradigma entro cui sono formulate. Percependo il limite scientista di questa concezione il compositore contemporaneo arriva a soffrire di quella che senza timore definirei una vera e propria crisi identitaria. E a proposito di identità: è incredibile quante parole siano state sprecate per definire altrimenti la musica che facciamo. È pazzesco l'imbarazzo che il termine Musica colta suscita oggi tra gli addetti ai lavori. È diventato quasi un insulto se non motivo di imbarazzo. Un po' come dichiararsi onnivoro o eterosessuale. È però significativo che al declino di questo innocuo participio passato corrisponda un'incapacità tutta contemporanea nell'individuare i luoghi della cultura - ma direi della Vita - dove il musicista andava cogliendo il suo nutrimento per fare musica. Lo ritengo un po' il sintomo di questo senso generale di frustrazione risolto schizofrenicamente facendo proprio il metodo delle hard science. Ci si illude di essere liberi, ma si è intrappolati in una rete di conoscenze che sono quelle in cui siamo cresciuti, educati e che percepiamo come gli assiomi del nostro esserci artisticamente nel mondo. Fatichiamo ad affermarlo ma la libertà spesso affannosamente ricercata e definita altro non è che alienazione nel proprio pensiero. Non esiste altra libertà, per cui tanto vale alienarsi al meglio facendo una sana opera di persuasione e rettorica.

Non è un problema esclusivo della musica o delle scienze umane. Come intuito da Maestri è anche un grosso scoglio per la Scienza e il suo metodo. Ho avuto la fortuna di conoscere GianniZanarini, fisico e psicologo, tra i maggiori esperti in Italia di scienza della complessità. Vi propongo la lettura del suo Diario di Viaggio pubblicato a suo tempo da Guerini e Associati. Zanarini alle soluzioni condivise della scienza della complessità - vero e proprio paradigma universale - propone l'alternativa di una

complessità silenziosa, nella quale ognuno riesca ad accettare le caratteristiche squisitamente personali, autobiografiche, irripetibili della propria strada verso il pensiero...offrendole all'interno di una testimonianza personale”. Anche se questo può apparire come “un tornare indietro rispetto a un'elaborazione teorica e a una prassi caratterizzata da ben diverse ambizioni...mi pare liberi dall'aspirazione a un quadro teorico generale rendendo possibile più che in passato l'esperienza di occasioni di pensiero emozionato e vivo...e non necessariamente nei labirinti della complessità.”

Lo dice uno scienziato a proposito della scienza, lo sento raramente sostenere tra gli addetti ai lavori nel campo delle Musica Contemporanea. Ritornando alle questioni poste da Maestri come fare allora per uscire dallo spettro dello scientismo a cui può essere ricondotta la metafora epistemologica? Bisogna uscire dal paradigma che lo legittima. Sarebbe il caso di decifrare meglio, esteticamente, in che cosa sia consistito e soprattutto in che cosa si riverberi ancora oggi questa cultura paradigmatica.

Viderunt omnes

Descriveremo questo paradigma come l'insieme delle culture del “fare” legate al “dire”, al nominare e al descrivere senza dipendere, all'interpretare; è il paradigma il cui principio fondante non “considera il mondo come il luogo delle forme da creare, ma come un mistero da interpretare” Alain De Benoist. È la cultura dell'esegesi. Se questo fosse un saggio, con intento parruccone intitolerei questo capitolo dalla tradizione cristiana-egualitarista-marxiana all'egualitarismo estetico. La stessa cultura marxiana - più che a Marx stesso con cultura marxiana farei riferimento al marxismo critico post sessantotto - è leggibile come sedimentazione laicizzata della tradizione cristiano-egualitarista. Le due culture condividono la medesima origine. Culture della colpa e della redenzione utopico-ultraterrena. Queste sono le culture dove traspare, continuamente rinnovata, la fascinazione per le apparenze. È la cultura negativa della speranza per i cristiani, “teologia profana dell'esilio e dell'assenza”per il marxismo critico. Un processo devastante che, profanamente, ha sostituito alla cultura dell'uomo quella scientista. Dall'illuminismo e attraverso il positivismo si è sedimentato per tramite della scientificità marxiana nelle “scienze” umane del novecento.
L'egualitarismo nelle due culture si è espresso filosoficamente nel passaggio epocale dell'Estetica da Filosofia del Bello a Scienza delle poetiche. L'Estetica dominante novecentesca, diventata con una certa presunzione scientifica, è un perfetto esempio in quanto interprete delle istanze culturali che ne hanno permesso la nascita e lo sviluppo: dalla linguistica allo strutturalismo. Ogni interpretazione è sempre legittima dal proprio punto di vista perché l'arte è sempre espressione di una determinata cultura. Al valore della testimonianza si è sostituito quello della comprensione, della documentazione e della speculazione. La dimensione analitico-scientifica prevale. È l'Estetica che diventa scienza e che priva, assiomaticamente, se stessa dall'espressione di un giudizio di valore. Interessante opera di castrazione intellettuale direttamente proporzionale all'ipocrisia condiscendente dell'applauso barzotto o al pudore con il quale anche i giovani esprimono pubblicamente i loro ininfluenti giudizi. Ecco allora il terrore nel mettere “in causa la“metafisica dell’illimitato” - sorella maggiore della “semiosi illimitata” - , vale a dire quella dismisura (hybris) per cui l’uomo ha iniziato ad interpellare il mondo confondendo il “più” con il “meglio”. Lo sostenne ancora Alain De Benoist commentando il suicidio eroico in Notre Dame de Paris di Dominique Venner: bello, trascendenza, fede, Mito, giudizio di Valore, simbolo, pathos. Termini antichi, desueti, che per me conservano intatto il loro Valore. Soprattutto oggi, soprattutto in vista delle affascinanti prospettive post-umane. Venner si è ucciso per noi, per l'Europa e non per la Comunità europea, nel luogo sacro che diede i natali al Canone musicale occidentale. Varrebbe la pena spendere un minuto per leggere la sua lettera d'addio. Da Freud allo strutturalismo fino al nichilismo postmoderno il paradigma culturale dominante nel novecento potrebbe essere riletto alla luce di quanto sopra. Il filosofo Jean-Joseph Goux si divertì a sezionare le concezioni estetiche di Freud:

Ciò che produce l'emozione, in lui, è l'intenzione dell'artista. Egli non prova se non ciò che comprende...non gode se non del retroscena, del senso. Non gode se non quando la sua intelligenza non sia disorientata...”.

Per lo scienziato, ma a quanto pare anche ancora oggi per l'artista e in particolare il compositore, vero luogo di fascinazione, se non di vera e propria fede, non è l'Arte, ma la scienza divenuta con l'Estetica scienza dell'arte. In questo passaggio i musicisti hanno perso qualcosa di sacro e magico. I Greci la chiamavano epopteia: non è un caso che nelle ricerche analitiche e musicologiche a questo termine si preferisca il ben più abusato e accademicamente corretto téchne. L'oblio della memoria passa anche per la rimozione dei termini. Lo dice bene il sociologo Shmuel Eisenstadt:

l'annullamento della discontinuità tra trascendenza e immanenza trasforma il pensiero e l'agire utopici in reliquie del passato”.

L'interpretare, in questo senso, è un po' un morire al mondo. In questo passaggio è la sostituzione

all'eccitazione psichica dello stato erotico una affezione della ragione, per la quale noi nei fatti dovremmo amare, sulla base di un pensiero ammaestrato, degli spettri concettuali.” (Ludwig Klages)

Gli interpreti possono uccidere un sogno, sicché l'applicazione diretta del sogno inteso come messaggio per l'Io è probabilmente meno efficace, nel produrre un effettivo cambiamento nella coscienza e nell'influire sulla vita, di quanto non lo sia un sogno mantenuto vivo come immagine enigmatica.” (James Hillman)

La Scienza, come la Musica, quando si rinnova o si evolve - non progredendo mai - non impone a se stessa un paradigma. Coglie sempre altrove, dal Sistema della Scienza Normale (o della metafora epistemologica nel nostro caso), il proprio nutrimento:

La costruzione del mondo reale e surreale è tutt'uno con l'edificazione dell'organismo psichico, simbionte dell'organismo visibile, ma che si “monta” fuori dello spazio. L'organismo psichico è fatto di credenze, di fede, valorizzazione che hanno come punto d'appoggio nel mondo degli oggetti-segno che rimandano non ad altri oggetti del mondo visibile ma alla surrealtà del mondo dello spirito...e tuttavia per costruire l'architettura psichica occorrono dei materiali psichici, delle credenze e non delle semplici conoscenze”. (Raymond Ruyer)

La genesi della forma musicale non è partecipe al solo sistema di conoscenze, al metodo e al paradigma ma è il luogo in cui si cristallizzano architetture della psiche, comprese le sue derive. Al contrario il processo ormai concluso di naturalizzazione fenomenologica della musica è oggi il fondamento ontologico di un nuovo ordine mondiale estetico il cui disegno generale è suggellato nel progetto per un Nuovo Illuminismo di Jean Petitot. Non che di per sé non rappresentino sistemi filosofici di un qualche interesse. È la loro adozione sistematica in quanto orizzonte di vita artistica a non funzionare. L'errore per il compositore è quindi nel ritenere la questione e nel ritenerla problematica. L'affermazione della stessa in quanto fondamento di una poetica già fornisce una misura del dominio di quel pensiero sulle finalità artistico-musicali.
La metafora epistemologica è pura tautologia per l'artista. È evidente che da Dufay a Stockhausen passando per i presunti dadi di Mozart fino ai sistemi CAC lambda calcolo, ogni artigianato artistico rechi traccia dello Zeitgeist, scientifico e non. Porre a fondamento di una poetica la metafora epistemologica - con tutta la complessità di cui è portavoce questa definizione - vuol dire

ricondurre continuamente all'equilibrio il movimento disordinato delle libertà opposte; senza mai doversi interrogare sul fondamento metafisico delle rivendicazioni in causa”. (Jean-Claude Michéa)

Mi pare un modo per “neutralizzare” l'azione delle condizioni originarie, ancestrali e metafisiche (ma anche sociali, se tenete al sociale) dove i musicisti di ogni epoca e luogo coglievano per fare Musica. In un'intervista con Pierre Boutang, Gabriel Marcel descrive molto bene questa irriducibilità del pensiero musicale. La chiama la certitude musicale:

Un pensiero itinerante e interrogativo, risposta a un appello proveniente da una regione inverificabile dove il concetto, nella sua struttura prensile, è impotente invece che costruzione assoluta, esercizio di una pietas al cospetto dell'Originario inoggettivabile anziché elaborazione di un fondamento incontrovertibile.”

Metafora, epistemologia e ricerca non rappresentano quindi le condizioni di esistenza del pensare la musica oggi; sono il loro principale nemico. Sono concrezioni linguistiche di una pratica la cui condizione storica è del tutto evenemenziale. Se l'epistemologia è fascinazione per il metodo scientifico, sublimazione della conoscenza al metodo, metafora è oggi un pretesto per giustificare socialmente un dover dire. Tutta l'accademia artistico-umanistica fonda la propria legittimità su questo pretestuoso presupposto. Che cos'è gran parte dell'arte detta contemporanea se non una abnorme psicoterapia contenitrice di massa, luogo per eccellenza dove residui di patologie deboli si quietano e si concretizzano in manufatti la cui legittimità estetica è fondata sulla metafora del sociale. L'illimitata semiosi del celebre semiologo è teoricamente lì, sovrastruttura pourparler ad uso e consumo di generazioni di docenti e ricercatori dis-graziati, senza-grazia. Siamo in tanti, le anime belle si dicono anche democratiche e in qualche modo si tollerano tra loro. Per queste è necessario un Sistema che supporti e legittimi il “pensiero creativo” - dall'arte contemporanea al marketing pubblicitario - per non trascinarlo alla follia e alla depressione e consolarlo speculativamente sull'orlo del baratro creativo cui il destino lo ha collocato.

Metafora, ci si dice. Grave errore!... vediamo che per la magica violenza della parola immediatamenteaccade ciò che l'entusiasta bocca del contemplante dice.” (Ludwig Klages)

Dire al posto di accadere. Dicevamo: il paradigma del nominare al posto del fare. Il compositore invece è il demiurgo del segno nel senso che la sua prassi precede l'edificazione stessa della semiosi, della metafora e lo dico senza azzardo, della conoscenza. Rinunciare a questo per me significa rinunciare a fare il compositore perché allora l'orizzonte del comunicabile sarebbe esprimibile altrimenti. La mia rivendicazione della natura metafisica della musica è tutta qui. È anche un atto di fede nella sua natura trascendente. Quella natura che, nei secoli dei secoli, ha visto accompagnare ogni narrazione mitica sull’origine del Mondo con un suono e ogni narrazione filosofica terminare con la Musica. L'immaginazione musicale sublimata nell'artigianato soffre quando rinuncia a questa deriva del senso per affidarsi ad un concetto così ambiguo come quello di metafora. Sottomettersi ai meccanismi poetici della potente metafora epistemologica implica “la destituzione di tutti i meccanismi normativi costruiti in esplicito riferimento alla legge simbolica, a vantaggio dei soli dispositivi 'assiologicamente neutri”. Io sono con e attraverso il mio fare musica, il Sapere, il Fare e la Speranza, se non per gli altri, per lo meno per me stesso - in questo senso parlo della necessità della Musica in quanto “racconto di vita” (con Ricoeur e Zanarini). Abbiamo visto il nuovo millennio segnato dalla rinascita degli studi sulla metafisica del suono. Operazioni spesso viziate da un eccesso onto-logico-analitico, ma rimangono un segno della necessità di una ridefinizione della conoscenza.

* * *

... la metafisica di Stockhausen mi spaventa!”


Chi legge probabilmente rileverà degli “eccessi” di argomentazioni a favore del folgorato sulla strada di Jankélévitch o di una visione conservatrice a la Roger Scruton, Buscaroli, Principe. Nulla di male e, dicevamo, tutta salute per le anime belle e l'ipocrisia progressista; ma per quel che mi riguarda si sbaglierebbe. Conservo sì una visione artistocratica ed elitaria della Musica e dell'Arte - “di cui l'Occidente democratico sembra avere una gran voglia di sbarazzarsi (John Barth)” - ma in quanto sintesi tra Avanguardia e Tradizione. Se il progressista con le sue illusioni mi fa pena, le certezze del conservatore falliscono miseramente nella loro giusta idealizzazione del contenuto eterno della Tradizione dal momento in cui lo confondono “con la sua forma, che invece si modifica di epoca in epoca”. (Massimo Scaligero)
È evidente invece che il pensiero dominante e conformista in campo artistico necessiti, a tutela di interessi particolari del Sistema, di una forte contrapposizione tra Avanguardia e Tradizione. La mia prospettiva è invece pura reazione nei confronti di questa dialettica della Storia. Il linguaggio è Tradizione ma l'avanguardia è Vita. Qualcuno disse: conciliare Marinetti ed Evola. Tradizione non vuol dire aderire sistematicamente ai canoni dell'arte classico-romantica. Questo è il punto nevralgico che distingue la mia reazione all'imposizione della dialettica conservazione-progresso. La radicale novità di cui oggi si dovrebbe esser portavoci è la celebrazione dell'avvenire post-umano insieme al richiamo al passato remoto, mitico, ancestrale. Cos'altro è la trascendenza in Musica se non questo libero edificare naufragando nell'illusione dell'esserci nel Tempo umano, anima dello Spazio? Del passato bisogna recuperare il modo di vivere il proprio presente.

Egli (il Poeta) conosce il passato perché ha la facoltà di essere presente al passato. Ricordare, sapere, vedere, sono termini equivalenti. È un luogo comune della tradizione poetica l'opporre il tipo di conoscenza proprio dell'uomo ordinario … a quello che è proprio dell'aedo in preda all'ispirazione e che è, come quello degli dèi, una visione personale diretta” (Jean-Pierre Vernant).

È la sophia di Mnemosyne con la sua omniscienza divinatoria. È oggi la celebrazione della Dimensione Epica del mondo senza eroi di Gottfried Benn: “dissimulare creativamente il proprio nichilismo” il suo imperativo. Del futuro bisognerà accoglierne la vertigine e insieme oltrepassarne il limite. Si contempla per la prima volta nella storia del pensiero la possibilità dell'estinzione, della rinascita e della necessità del fare artistico; si celebrerà così, in modi che ancora non conosciamo, il valore troppo umano della Musica.

* * *

Alles ist nach seiner Art:
an ihr wirst du nichts ändern.

(R. Wagner, Sigfrido, II, 1)


All'alba dell'ingegneria genetica l'arte della Composizione è e continua ad essere scienza alchemico-metafisica. La Musica comunque vadano le cose relative alle concrezioni linguistiche del pensiero-pensante o pensato, rimarrà sempre altro dalla parola e responsabilità ultima sarà sempre circoscritta alle scelte effettuate dal compositore. Detto brutalmente ogni musicista ha la musica che si merita. Non sarà un sistema assistito a limitare o estendere la sua prassi ne più ne meno di quanto lo possa essere la pratica di un esercizio di contrappunto o un lancio di dadi. O meglio il libero arbitrio del compositore si svolge soprattutto nelle scelte relative al grado di coerenza che decide di esercitare e adottare entro un particolare sistema. Tutti abbiamo provato quello strano fascino misterioso nel relazionarci all'amato e odiato automatismo. Ad esempio sperimentando, tra le varie soluzioni scelte effettuate indipendentemente dal desiderio di ottenerle. Comporre spesso diventa una lotta contro il desiderio perché il desiderio è noto, appaga le aspettative, mentre alla Musica spesso chiediamo l'ignoto, desideriamo ciò che non vogliamo, espressione latente ma significativa per comunicare ciò che siamo. Facile constatare che ciò che si desidera spesso musicalmente non funziona. Ma per me tutto ciò, automatismo compreso, non ha nulla ha che vedere con la scienza. L'automatismo è rilevanza ontologica celata nel rito della scrittura occidentale. È un processo di divinazione. Oracolo da interrogare, come per William Burroughs, Yeats, come per l'occultista inglese Osman Spare:

L'automatismo, essendo la manifestazione del latente, desidera (o vuole) che il senso delle forme ottenute rappresenti le ossessioni non registrate in precedenza”.

Eppure, e questa è la cosa che più conta, le scelte effettuate dal compositore non saranno mai neutre perché tutti i suo(n)i composti recheranno il peso specifico - il parametro più importante del suono di cui mai si è detto nulla – dell'intenzione, compresa la sua negazione. Ma l'intenzione, abbiamo visto, non è neutra. Deve essere alimentata dalla psiche; è il “montaggio” secondo Raymond Ruyer (v. nota di Ruyer precedente e i riferimenti a questo autore nei Texte zur Musik di Stockhausen).

Non credo di sapere cosa siano le svolte... La strada è una, solare, da oriente a occidente. Essa segue quattro linee: il linguaggio, il paesaggio, il mito e il rito.” Cristina Campo

Il divenire del linguaggio musicale occidentale si manifesta ad aeternitatem come costante dialettica tra Avanguardia e Tradizione. Il Rito che contempla questi passaggi è celebrato dalla scrittura. Il Paesaggio è quello della Memoria e si dispiega nello spazio compreso tra il linguaggio e gli altoparlanti. All'esperienza mitica aspiriamo noi, officianti della via Solare. Questa visione apollinea dell'arte musicale ci connette alla sua origine mitica e alla Storia del Canone musicale. E mai concetto fu più ostracizzato quanto quello del Mito nel novecento. Nel dopoguerra contrastava con un assunto fondamentale dell’ideologia marxiana la quale vedeva nel mito

una forma scaturente da una mentalità alogica o pre-logica…un’ideologia regressiva, fondata da una falsa coscienza della realtà” (Giorgio Locchi).

Al contrario

il Mito - proseguendo con le parole di Locchi – è l’espressione immediata di una concezione del mondo nuova – originaria e originale – ed insieme designazione di un fine umano al cui servizio la ragione è posta”

... designazione di un fine umano al cui servizio la ragione è posta.

È necessario tornare su queste parole. Oggetto di studio del Mito non può essere quindi la filosofia o la scienza. Non esiste semiosi, metafora od epistemologia entro cui crogiolarsi accademicamente perché la via Solare è perentoria. Il mito è un a priori, un tutt’uno con “la capacità poetica di mobilitare l’impossibile e di farne un evento” ci racconta Leonello Rimbotti citando Arnold Gehlen:

un evento…irrazionale per principio…non attinge la scientificità e non è controllabile direttamente, ha una sua verità: la certezza…qui però è l’immagine, il fantasma a farsi volàno delle azioni, e la verità trapassa nello stato di una certezza non razionale e tuttavia satura d’esperienza”.

* * *


Avete rotto il cazzo con il Realismo, io voglio i Mostri Giganti”
(cit. da un blog di Cinema qui)


Who cares if you do the math?

Credo sia chiaro che attribuisco alla mancanza di fede nella dimensione mitica, trascendente e Metafisica della Musica l'origine della crisi identitaria in alcuni compositori. Questa assenza si fa sentire nella incapacità di molta musica “contemporanea” di incidere nell'immaginario e nella cultura. Ritengo quindi necessario alimentare la fede, il “totale abbandono”, mortificare la passione, “ma soprattutto, l'entusiasmo” origine e illusione di redenzione artistica – legittimata dalla concezione estetica di cui sopra - ad uso e consumo di un paio di generazioni di dilettanti: è “l'inverno della cultura”. All'entusiasmo è sempre preferibile l'eccesso del fanatismo con la sua abnegazione, la sua disciplina e la sua forma. Solo allora lo stile, ci ricorda Gottfried Benn “diventa superiore alla verità”, testimonianza di una volontà forgiata dal suono intenzionale.

Sono certo che da tutto ciò il compositore non potrà far altro che trarne beneficio affermando così anche nella società la necessità del proprio esserci; questa necessità è ora soddisfatta da altre culture che hanno rubato al compositore - di musiche non funzionali - la capacità di sognare: le colture che alimentano i sogni non sono tutte eguali. Questa mortificazione del pensiero dominante, cognitivo e un po' paraculo, passa invece attraverso la riscoperta di principi superiori e immanenti all'umano che sono cristallizzati nelle opere del Canone musicale. Si continui ad affinare le tecniche ma si tacciano. Il modello artigianale rimanga quello eterno della musica reservata, dell'ars subtilior, senza caricarla, come ha fatto fin'ora certa musicologica storica delle sovrastrutture novecentesche di cui sopra. Si alimenti il peso specifico dei suoni non con scienza e conoscenza ma con vita e psiche; sia questo modello sublimato all'indagine di quel mundus imaginalis che oggi è mortificato – non sempre ma questo è un altro lungo discorso - dall'industria dell'intrattenimento. La buona Musica poi, sappiamo, è poco incline ai compromessi. Ricordate la massima di Hölderlin? “Se hai un intelletto ed un cuore, mostra uno solo dei due! Te li maledicono entrambi, se li mostri insieme.”


21 commenti:

  1. Scritto notevolissimo e, per quanto riguarda il mio fare, assolutamente condivisibile nella proposta.

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  2. selvafiorita scoperchia il vaso di pandora.

    però, se è vero che fra gli addetti ai lavori l'espressione "musica colta" suscita imbarazzo - eccome! -, non si potrebbe adoperare la parola "musica", una volta per tutte senza aggettivi? è così necessario ricercare una presunta "cultura": chi la sancisce? è necessario porre aggettivi accanto a "musica"?

    posso farle solo un'osservazione? lei espone questa frase:

    "si continui ad affinare le tecniche ma si tacciano. il modello artigianale rimanga quello eterno della musica reservata, dell'ars subtilior, senza caricarla, come ha fatto fin'ora certa musicologica storica delle sovrastrutture novecentesche [...]"

    del tutto condivisibile. ma perché, in questo assai lungo post, lei espone un'enorme massa di sovrastrutture citazioniste al suo pensiero critico?

    un saluto cordiale, dario agazzi

    RispondiElimina
  3. Salve Dario
    riguardo l'ultima sua osservazione le faccio solo una domanda: le è chiaro cosa si intende con sovrastrutture? non ho nulla contro il pensiero critico, nemmeno quando si fa letteratura un po' prolissa e maniaca alla Yeats. Oggetto del mio intervento è "condividere le coordinate culturali di un pensiero" che prescindesse da scientismi vari (ma anche dalla maggior parte dei soporiferi cultural studies); cioè gli impianti ideologici dominanti in ambito umanistico caratterizzati da sovrastrutture (quindi un pensiero unico ideologico) ben preciso! Tutto si può dire di Ruyer, Locchi, Benn, Gehlen, Spare, Yeats, Scaligero, Klages, Marcel tranne che condividano impianti ideologici sovrastrutturali. In sostanza dell'"enorme massa" di sovrastrutture in questo scritto non c'è traccia.
    un saluto
    f

    p.s.
    Domanda Agazzi;
    però, se è vero che fra gli addetti ai lavori l'espressione "musica colta" suscita imbarazzo - eccome! -, non si potrebbe adoperare la parola "musica", una volta per tutte senza aggettivi?

    Risposta S.
    Ma a me imbarazza il fatto che susciti imbarazzo, non il termine musica colta. Non avrei problemi ad utilizzare solo la parola Musica se esistesse solo la musica che piace a me!

    Domanda Agazzi;
    è così necessario ricercare una presunta "cultura"

    Risposta S.
    SI

    Domanda Agazzi;
    è necessario porre aggettivi accanto a "musica"?

    Risposta S.
    Perchè no?

    RispondiElimina
  4. salve fabio, sono lieto delle sue risposte e la ringrazio.

    ora, dipende che cosa intenda lei per "sovrastruttura". visto che mi stuzzica proprio sulla parola - che ha varie sfaccettature - le dirò che forse non intendiamo la stessa cosa. prenderò l'etimologico cortelazzo-zolli, vol.5/SZ, zanichelli. nel significato marxista, "sovrastruttura" ricalca "ueberbau"; vale a dire - lei mi insegna - "[...] secondo l'ideologia marxista, tutto ciò che, come la politica, la religione, l'arte, la filosofia e sim. appare come espressione culturale e istituzionale di un determinato modo di produzione."

    c'è però un altro significato, che fornisce il cortelazzo-zolli: "aggiunta inutile" (1965, garz.). era questo ciò a cui mi riferivo. però, affermando lei piacerle la letteratura "un po' prolissa e maniaca alla yeats" - allora si comprende meglio queste aggiunte (non vorrei dire inutili, ma, sì, come dice lei, "prolisse"): ad esempio il filmato cui lei rimanda con un link, dove odiamo carmelo bene monologare sghembamente accanto ad un impassibile maurizio costanzo; filmato in cui bene si scaglia - come suo uso - un po' contro tutto.

    1. risponde selvafiorita: "non avrei problemi ad utilizzare solo la parola Musica se esistesse solo la musica che piace a me!"

    ribatte agazzi: perfetto. ma non le pare un po', come dire, solipsista?

    2. risponde selvafiorita: presunta cultura etc.: SI'

    ribatte agazzi: si ricorda quel verso della VI satira di giovenale? "QUIS CUSTODIET IPSOS CUSTODES"? cioè, parafrasandola nel contesto: "e chi sorveglierà i ricercatori di cultura affinché si possa parlare di cultura?"

    3. risponde selvafiorita: aggettivi? perché no?

    proposta: "musica colta" non le suona - mi permetta - accademico? se si potesse dire musica vera VS musica falsa...

    cordialmente, dario agazzi

    RispondiElimina
  5. mi sembrava chiaro che il riferimento fosse al primo modo ovviamente! per il secondo se a lei questi autori non comunicano nulla e li considera aggiunta inutile non saprei cosa dirle ;) cioè la ringrazio per le osservazioni ma mi pare che si stia soffermando più sul dito che sulla luna!

    ribatte agazzi: perfetto. ma non le pare un po', come dire, solipsista?

    uh certo! solo il solipsismo ci salverà!

    ribatte agazzi: si ricorda quel verso della VI satira di giovenale? "QUIS CUSTODIET IPSOS CUSTODES"? cioè, parafrasandola nel contesto: "e chi sorveglierà i ricercatori di cultura affinché si possa parlare di cultura?"

    Giovenale era uno sfigato moralista con tendenze omosessuali represse. Da questo genere di persone ci si può aspettare qualsiasi remora.

    proposta: "musica colta" non le suona - mi permetta - accademico? se si potesse dire musica vera VS musica falsa...

    Musica Superiore vs Inferiore sarebbe più bello ma sa che bel casino? :)) scherzi a parte poco importa. Ci tenevo a ribadire il generale imbarazzo suscitato dal termine.

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  6. no, inutili no, non direi questo. ma un po' "sovraccarico" di citazioni - l'ha ammesso anche lei - è di certo il suo post!

    giovenale: lei lo attacca da un punto di vista meramente "umano". che importa se aveva tendenze moraliste e - soprattutto - omosessuali represse? mi ricordo una volta di un compositore, una figura minore del 900 italiano ma non priva di spunti interessanti, che si espresse con me su carmelo bene, dicendo che era un "drogato". e con ciò? allora satie era alcolizzato, gide era omosessuale (ma è riuscito a tradire la moglie ed avere una figlia da un'altra donna: ed era pure moralista [cfr. "la porta stretta"]); mauriac s'è scoperto di recente che era omosessuale; boulez ha tendenze omosessuali anche se non molti ne parlano; si potrebbe andare avanti all'infinito. le "satire", a mio parere, restano notevolissime. - ma perché "sfigato"? - perbacco: lei cita eliot quasi in apertura; benché superbo il pometto de "la terra desolata", mi permetta di dire che da molti punti di vista, sarei propenso ad annoverare il buon thomas stearns fra gli eminenti "sfigati".

    solo il solipsismo ci salverà...uhm, mi pare un po' una vetusta teoria...wittgenstein lo buttiamo a mare? dovremmo ritornare a carnap?!

    sì sì: musica superiore Vs inferiore. mi ha letto nel pensiero. che almeno la musica superiore - sine pecunia ma nobile - abbia almeno la gloria della sua posizione altolocata rispetto a quella inferiore "arricchita", ma pur sempre uscita da marivaux: "le paysan parvenu".

    cordialmente, dario agazzi

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  7. Si ecco evidenzierei più che altro la repressione in quanto meccanismo di difesa (carico di conseguenze negative, come per il cristianesimo) che l'essere omosessuale o drogato :)
    Per ilrestoo agli anatemi di Giovenale preferirei un Saturnino Sallustio,Libanio o un Teofrasto!
    Wittgenstein si, sta bene naufragato!
    a bordo terrei gli irrazionali!
    si immagini che traversata!:)

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  8. proprio di recente è uscito un libro incredibile, dell'amico felice accame: "il linguaggio come capro espiatorio dell'insipienza metodologica", edizioni odradek 2015, in cui proprio wittgenstein ed un altro nume tutelare del secolo scorso vengono mandati al naufragio: niente meno che kurt goedel:

    http://www.odradek.it/Schedelibri/capro.html

    a bordo gli irrazionali...interessante. a me verrebbe in mente il buon feyerabend (accame non sarebbe d'accordo), fra gli scrittori certo celine, ma anche bernhard; ma fra i compositori?? non mi dica stockhausen o ligeti, la prego...io direi hans-joachim hespos, però non so se sia davvero irrazionale...

    cordialmente, dario agazzi

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  9. compositori? posso essere provocatorio? :)))
    preferisco mille volte ascoltarmi un Nico Muhly su Decca (con la cultura del suono che sappiamo) che le mediocri registrazioni condivise sui social da sedicenti compositori cultori del suono con anni e anni di studi di psicoacustica e fisica del suono, artigiani della musique concrète instrumentelle registrata con uno zoom a 10 metri dalla sorgente. Follia pura. Ai compositori di oggi di una particolare area legata alla "ricerca" manca totalmente una cultura del suono (elettroacustica e non) e della produzione musicale. La vita e la morte delle loro composizione dura l'arco di una prima e questo per me è inaccettabile ed è un altro elemento del sistema da scardinare. Forse il più difficile. Mi rendo conto che di musiche del genere non è possibile oggi darne un'adeguata rappresentazione acusmatica, soprattutto se riguarda musiche d'ensemble. Il motivo è culturale quanto economico.
    Le dico allora che al posto di molta musica dei compositori odierni (che mi piacerebbe poter ascoltare) porgo l'orecchio "interessato" altrove, al cinema ad esempio: ogni tanto torno sul lavoro di Alan Splet o di giovani field recorder del calibro di Ernst Karel o del duo Benvenuti/Olivero sul film Le quattro volte…o a certa musica "sperimentale" tipo Eric la Casa o Lionel Marchetti o dell'amico Valerio Tricoli…

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    1. ma scusa, tanto per citare il solito, ma la registrazione Ictus di Index of Metals mi sembra proprio quello di cui parli.

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    2. Appoggio quello che dici Eric, e aggiungo che a mio avviso il numero di compositori "non udenti" tende a calare col tempo. Se non altro per una ragione : la cultura del "sound" - persino di Nico Muhly, se vuoi - con le tecniche che permettono la sua realizzazione - oramai a portata di chiunque abbia un computer, del software adatto e una testa intelligente - filtra ineluttabilmente verso la "musica colta contemporanea", che i suoi compositori rappresentanti lo vogliano o no. Riconosco però la persistenza di frizioni e resistenze - involontarie - al riguardo, ma che secondo me possono confrontarsi con l'ascolto del "peso specifico" del suono, come dici tu. Le orecchie vanno comunque aperte.

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    3. non ho capito molto bene quello che avete scritto...si, certo le eccezioni ci sono! ci mancherebbe. Sul fatto che lo sviluppo di una cultura del suono sia a portata di chiunque ho i miei grossi dubbi. Anche perchè non bastano un computer e un software per esaurire gli sviluppi di una cultura elettroacustica. Questo è un altro grande fraintendimento in parte responsabile di quella stasi della ""musica colta contemporanea" di cui parlo nell'intervento (e potrebbe essere un ulteriore punto di discussione)...

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    4. ...esaurire probabilmente no - credo che nessuno possa esaurire nulla in nessun campo, se non altro perché nascono nuove domande ogni volta che si compie una riflessione - però i mezzi esistono. Allora, forse, potrei direi "a portato di chiunque abbia voglia di averci a che fare / o che abbia una minima curiosità?". Secondo me la chiave sta anche nella volontà meramente individuale, di chi ha voglia di formarsi e di informarsi - sì, possiamo parlare di educazione. La curiosità è sempre un grande motore.

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    5. caro selvafiorita, confesso di non aver capito molto bene nemmeno io le parole di sarto del 1° agosto. ad ogni modo, se qualcuno crede che il computer con i relativi programmi "esaurisca" le potenzialità elettroacustiche, mi permetto di dire che è un problema di quel qualcuno - da quanto lei scrive, pare ne abbia incontrati non pochi esempi. tuttavia, non credo che questo sia veramente responsabile della stasi della "musica colta contemporanea"; bisognerebbe definire tale "stasi". più che altro - ed è un problema vecchio quanto la "musica colta contemporanea" c'è una stasi da parte di chi potrebbe fruirla, ma non ha modo di conoscerla. cordialmente, dario agazzi

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    6. Perdinci, quali parole, nello specifico?

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    7. che cosa intende con l'espressione: "i compositori non udenti"? mi pare un accostamento paradossale, e non credo siano stati gli spettralisti - né i loro più o meno dichiarati epigoni, romitelli incluso - a "far aprire" le orecchie. ma forse ho frainteso. un cordiale saluto, dario agazzi

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    8. Intendo chi accrocchia le note senza porsi il problema della percezione, perché pensa che se il processo compositivo è stato fatto correttamente allora il risultato sarà musicale. E, al contrario di lei, io credo fortemente invece che i compositori "spettralisti" insieme a Romitelli abbiano NON SOLO allargato le nostre orecchie, ma soprattutto contribuito a una riflessione FONDAMENTALE sul linguaggio musicale. Punto.

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    9. cortese sarto, è in buona compagnia, nel ritenere ciò, ma non direi che la sua sia l'unica posizione critica possibile. c'è stato un periodo di donatoni in cui proprio la sua riflessione FONDAMENTALE (per dirla a caratteri cubitali, come lei) sul linguaggio musicale verteva proprio sulla non-percezione acustica, sulla scrittura come atto di scrittura. non per questo direi che quella fase non sia stata importantissima: anche dal punto di vista sonoro. ma naturalmente donatoni è solo un caso celebre che possa esser citato. il "punto" - poi - lo lasci mettere, se mi permette, alla storia che verrà. punto e virgola. cordialmente, dario agazzi

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    10. Scusi, ma secondo lei Donatoni accrocchiava note? E che c'entra la musica di Donatoni con quanto ho scritto? Magari, forse, devo aggiungere un'altra postilla al commento precedente : non esiste solo il problema della percezione, ma anche quello del pensiero. Chi accrocchia note, probabilmente, ne fa difetto. Infine, metto punto, ma non mi fraintenda : lo scambio è del tutto aperto. Era un punto... esclamativo!

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    11. infatti donatoni non "accrocchiava" di certo note: mi riferivo alla fase di "questo" (adelphi) - non so se le sia capitato di leggerlo: un "rondeau" conclusivo in cui - sì - sono "accrocchiate"...le parole. ho fatto un riferimento a donatoni - in verità ad una sua specifica fase (e speculativa) - per contrapporre il pensiero della scrittura - e quindi, per certi versi, anti-acustico - a quello che lei ha difeso con tanta enfasi circa gli spettralisti ed i loro epigoni. ma ora mi pare chiarito. io non sono un detrattore di spettralismo vel similia - sarebbe una stupidità storica, una cretineria -, come mi pareva lei avesse inteso; solo non mi pare che sia esso con relativi figli il solo responsabile dell' "allargamento delle nostre orecchie", né della riflessione sul linguaggio, tutto qui. deh! - purtroppo è spiacevole ed increscioso a dirsi, ma vi sono ancora persone che considerano donatoni uno che "accrocchiava" note. mi fa piacere che il punto fosse esclamativo e lo scambio aperto: "punto", scritto "punto" - mi perdonerà - l'avevo inteso come "punto". come il linguaggio è difettoso alle volte...forse sempre...cordialmente, dario agazzi

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  10. guardi, sulla questione della "pseudo-ricerca sonora" di molti odierni compositori, come lei ben sottolinea, ci sarebbe da scrivere un trattato, come quello che scrisse anni addietro il caro ettore berlioz: "i grotteschi della musica" (zecchini, 2004). beh, sul cinema non mi esprimerò, poiché è una faccenda di lavoro, ma anche lì vi sono tante finte sperimentazioni, come lei sa bene.

    le auguro buon lavoro, e buona ricerca, è stato un interessante scambio quello intercorso, dario agazzi

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