lunedì 20 aprile 2015

Ashley Fure - Something to Hunt

Ashley Fure è una compositrice americana classe 1982 ma sul fatto che sia americana e sulla sua biografia in generale parlerò in seguito. La musica di Ashley Fure non è programmata in Italia ma la sua azione ha un respiro internazionale, i suoi lavori hanno ricevuto alcuni dei premi più importanti e tra questi ne cito uno in particolare: il Kranichsteiner Music Prize della città di Darmstadt. Per parlare di questa voce, che ritengo preziosa, parto da qui, perché il premio in oggetto non è semplicemente assegnato per un bel pezzo: è un riconoscimento di più ampio respiro che guarda al profilo artistico attuale e al valore potenziale di una vita di scrittura. 


Vi propongo dunque la registrazione live della prima esecuzione assoluta di “Something to Hunt”, un brano per sette strumenti presentato dall'ensemble Dal Niente a Darmstadt nel 2014, al tempo stesso prendo questo lavoro come se fosse una scusa, in realtà vorrei parlarvi di questa compositrice riflettendo su alcune caratteristiche della sua poetica. 

Per prima cosa il materiale. Attenzione a non fraintendere: nulla è seducente. 

Ascoltiamo il brano e ragioniamo per assurdo... forse questo lavoro non sconvolge nulla, anzi se lo prendiamo nudo e crudo e lo contestualizziamo con la biografia della compositrice non stupisce per nulla che abbia vinto un premio in Germania: figlio naturale di scuole navigate, allure post-lachenmanniana, suono un po' saturato, pitch su fasce dalla sensibilità elettronica e tecniche strumentali da giovane nerd (nel senso buono!) della contemporanea. 

Dicevo... "per assurdo", perché la prospettiva a mi avviso giusta per vederlo è un'altra e ha trovato conforto nell'ascolto di altri lavori, in particolare gli ultimi: “Soma”, “Albatros” e “Feed Forward” (www.ashleyfure.net). Ci sono degli aspetti forse genetici nella scrittura di Ashley Fure che da un lato mi fanno amare i suoi lavori e dall'altro mi spaventano ma, al netto della natura delle emozioni provocate da questi ascolti, credo di poter affermare che siamo in presenza di una voce forte e capace di coniugare con consapevolezza diversi piani di pensiero senza negare la genuinità di un universo emotivo. 

Un aspetto tra questi è l'affetto. Al netto della scelta sulla tipologia del sound (consumato o originale che sia, anche se... sinceramente... questi meccanismi di codifica attraverso l'esegesi della natura del materiale mi hanno un po' stancato), siamo di fronte a una persona che ama, conosce, ascolta e parla con i suoni che scrive. Dirò a breve che la natura del rapporto che v’instaura è di una crudeltà rara (almeno in questo brano), ad ogni modo io non vedo alcuna tendenza alla speculazione forzata: in quei suoni sento la fame con la quale sono stati cucinati. L'aspetto cool di un certo materiale non mi sembra un cappello concettuale, piuttosto uno zuccotto di lana al quale si è affezionati e che s’indossa perché fuori fa freddo e per questo non ne sono disturbato. 

A rinforzare ancora di più la convinzione di un approccio del tutto particolare alla dimensione acustica è il rapporto tra il materiale stesso e il come lo stesso è trattato. C'è un ossimoro vitale (o mortale): i suoni sono pericolosi per come vengono prodotti, sono imprevedibili per la natura della loro stessa produzione. Fin qui niente di nuovo, ma a maturare il mio interesse è il "come" e il "quanto" la compositrice sia attratta da ciò che è ad alto rischio, da ciò che è imprevedibile. È curioso come Ashley Fure sembri avere il bisogno di scegliere con lucidità l'esito acustico del gesto in estrema unione con la pericolosità dello stesso. Il tasso di percezione del limite è saliente, è esposto in purezza e _ qui chiudo l'ossimoro_ c'è l'arte del taglio. 

Saper tagliare non è una cosa da poco, c'è dell'architetturale, c'è coscienza del volume. La cesura sembra sempre netta, anche se talvolta si sceglie una lama volutamente arrugginita. Non c'è alcuna traccia d’indulgenza nei confronti della volontà di fuga propria dei suoni che compone, nulla scappa dall'ecosistema-contenitore che sono le mani della compositrice. 

C'è il fascino per l'estremo dunque (il rischioso e l’imprevedibile) e al contempo il rifiuto dello stesso (la non accettazione del fallimento… piuttosto uccido); a rendere il tutto ancora più interessante c'è una caratteristica rara, senza la quale questo gioco sarebbe irrealizzabile: l’attenzione per il controllo. Tutto è costantemente rimesso a fuoco. L'ambito in cui si realizza il test vitale di un suono è volutamente limitato; il micro - cambiamento (il piccolo scivolamento... l'attrito del materiale...) è il modo in cui lo stesso si definisce nel tempo. Ashley Fure è cosciente del fatto che i suoni che usa sono ricchi di significato e di rimandi estetici e per liberarli dal peso della denotazione sembra voglia collocarli al limite della producibilità e del registro (spesso insistentemente nell’acuto e senza l’appoggio confortante del registro grave), in una zona che gli permette di controllarne le pulsioni seduttrici da “timbro eterodosso”. La partita, in questo senso, è meritoriamente pericolosa, come se si trattasse di cucinare una memorabile, perfetta ed espressiva pasta al burro: con poco e con la cura (non c'è un palesato interesse verso la retorica dello "strumentalmente possibile"). 

Il gioco sembra facile, disarmante e, forse, lo è volutamente perché in realtà è tutto scoperto, minimale e in purezza. C'è molto dettaglio nascosto (a testimonianza del controllo), la conduzione è tanto definita nel micro quanto risoluta nel macro, Ashley Fure sembra voler guardare il suo mondo solo in questo modo, attraverso cioè una prossemica estrema. 

Questa musica è ecologica, si realizza con l'ascolto che la verifica. Il dettaglio è collegato direttamente a una dimensione sensoriale e i tagli fanno male, sono implacabili e non ci si guarda mai indietro. Non c'è spazio per il rimpianto di un gesto o per il dubbio che può accompagnare la prossima scelta. Non c'è dolore esposto, dopo il trauma c'è solo il nulla: il vuoto. Questa sensazione di assenza inappellabile è ancor più straniante se si pensa che nel brano non c'è quasi mai silenzio. 

Tutto è efficace e utile, non c'è tasso di ambiguità, il landscape è la somma dei tagli e se prendi un binocolo riesci a vedere della vita attraverso le finestre dei palazzi. Sarà comunque talmente lontana da non potercisi affezionare. 

A mio avviso queste sono rare capacità creative, in particolare lo scegliere di mantenere solo un fuoco dimostrando al contempo coscienza di tutto ciò che è stato rifiutato: è una musica capace di retrogusto. Deve essere un'abilità di controllo che Ashely Fure possiede naturalmente, non a caso è stata spesso capace di riuscire nella gestione di dinamiche creative particolari (da menzionare sono le collaborazioni con artisti come Jean-Michel Albert, Adam Fure e Yuval Pick) e dalla complessa gestione della produzione (come nel caso dei lavori multi-mediali e multi-disciplinari “Tripwire” e “Ply”). 

Una considerazione di natura biografica. Ashley Fure fa parte di quella generazione di compositori americani cresciuta con l'Europa, dall'Harvard ricca di mondo di Chaya Czernowin all'Ircam, da Darmstadt a Stoccarda. 

Ci sono diversi compositori americani di assoluto valore come Ashley Fure di cui parleremo, c'è una nuova ondata fresca e vitale che in realtà è cresciuta con l'Europa e che è capace di rapportarsi creativamente con i contenuti che essa sollecita. 

Sono curioso di sapere come cresceranno e di cosa si nutriranno ora che molti di loro sono rientrati negli USA per terminare un PhD o per iniziare a insegnare. Forse si tratta di un falso problema, indubbiamente non è questa una riflessione che vuol dimostrare una separazione creativa oltre alla effettiva distanza geografica (in realtà il concetto dei “due mondi” _forse più caro egli europei che agli statunitensi_ è in bilico da molti anni e fatico a trovarne riscontro nell’attualità). Semplicemente mi chiedo se, nel prossimo futuro, questi autori (con ogni dovuta distinzione possibile!) saranno ancora attratti dall’aria europea: un po’ stantia, dalle radici culturali forti, economicamente più povera di quella americana e mi chiedo se l’Europa saprà ancora attirare la loro riflessione oltre che alcuni esiti delle stesse. 

Per fortuna Ashley Fure, come altri, sarà ancora e a lungo meritatamente programmata nelle più prestigiose stagioni europee e fortunatamente questo confronto e dialogo a distanza continuerà a portare arricchimento culturale a una terra alla quale sono legato.

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