lunedì 18 novembre 2013

Labirinti

Oggi voglio prendere spunto da "Maze" (ectoplastic laboratory), per parlare brevemente di musica e videogiochi. 

"Maze" è un software che genera contemporaneamente musica e visualizzazioni geometriche. Le due cose sembrano talmente simbiotiche da rendere difficile capire che cosa sia rappresentazione di che cosa. Che la musica sia anche geometria non lo scopriamo ora; che la vibrazione sia alla base della realtà non è solo una metafora, almeno secondo ipotesi recenti. In ogni caso, Maze è certamente una delle maniere più intriganti di esplorare questi terreni: visualizzazioni e sonificazione si compenetrano, e la grafica è coinvolgente. 



Per chi fosse a Parigi giovedì prossimo, una dimostrazione del progetto sarà presentata alla Gaîté Lyrique. La cosa affascinante, almeno sulla carta, è la possibilità di rompere gli schemi di produzione e fruizione abituali: se pensiamo all'utilizzo, Maze è uno strumento; se guardiamo la sua impostazione, Maze è un'installazione; se guardiamo la grafica e l'interfaccia, Maze è un videogioco.

Specialmente vorrei soffermarmi su quest'ultimo punto. Sia chiaro: scrivo molto più da amante dell'idea che da cultore della materia o gamer. Mi sembra che l'esplorazione condotta con "Maze" sia di per sé un punto di merito – in un certo senso indipendentemente dal risultato –, il che è anche la ragione per cui penso valga la pena portarlo su questo blog sin da subito, mentre è ancora in fase di prototipo (…e sperando che le sue potenzialità vadano oltre una tavolozza di accordi minori!). Sono contento quando vedo produzioni di questo genere: credo sia un terreno fertile nel quale bisognerebbe sempre più mettersi in gioco oggi.
Il videogioco, in particolare, è una forma d'arte la cui estrema dignità, oggi finalmente riconosciuta, deriva da una serie di peculiarità che lo rendono un caso unico nel panorama culturale. Innanzitutto può permettersi di giocare con narrazione, contenuti e (soprattutto!) obiettivi: tutti dispositivi formali che manipolano significati e rendono possibile avvicinarsi in maniera più intrigante (e più profonda?) allo scorrere del tempo. In secondo luogo lo spettatore non esiste: il fruitore dell'opera è il giocatore: senza di lui non esiste opera – tralasciamo per un attimo il polverone sul dove sia l'opera: nel software o nella sua esplorazione da parte dell'utente?

Che il videogioco sia in risonanza con l'immaginario di molti videoartisti è ben comprensibile – si prenda ad esempio "The night journey", work in progress di Bill Viola. Ma con queste potenzialità (possibilità di manipolare il tempo, fruitori attivi, significati), come può un compositore non restarne affascinato? 



Tornando all'esplorazione delle geometrie, considerate Antichamber, ormai videogioco di culto, dove la geometria variabile (a ispirazione non euclidea) è la chiave di lettura:


Interessante è il lavoro su bruitage e sound design, che in quest'ottica stanno alla composizione come la narrazione sta al video – mi viene in mente, in tutt'altro contesto, il film "Le Bonheur" rimusicato da Sebastien Gaxie, in cui la potenzialità espressiva è completamente legata alla sonorizzazione degli eventi. 

Come in moltissimi videogiochi, anche negli esempi che vi ho presentato l'archetipo soggiacente è quello del viaggio attraverso un labirinto: perdersi, ritrovarsi, confrontarsi con il senso di frustrazione. Un labirinto spaziotemporale che è uno specchio diretto dei dedali mentali delle nostre abitudini e fobie, da cui non riusciamo a staccarci e con cui ci confrontiamo ogni giorno. 

In alcuni casi il labirinto diventa una sublime astrazione, come in questo stupendo "memory of a broken dimension" (scaricabile da qui, per Windows)


Il fatto che in tutti questi videogiochi sperimentali la musica extradiegetica sia per lo più ambient music, fatta di note lunghe, accordi minori e riverberi caldi, è significativo e probabilmente sintomo di un disagio (che in parte condivido!) con l'extradiegetico in generale (Non era certo così un po' di tempo fa!). Nella maggior parte dei casi è perfettamente giustificabile e integrata. Ma siamo sicuri che questo tipo di ambient music sia l'unica soluzione?

3 commenti:

  1. Grazie Daniele!
    Leggendo questo post su realtà labirintiche e virtuali dove l'ascoltatore è anche manipolatore attivo, mi è venuto in mente l' album di Björk "Biophilia", nato come disco ma anche (e soprattutto) come app per IPad, IPhone ecc. , dove il fruitore può interagire e modificare ogni canzone sfruttando il set di suoni messi a disposizione, modificando contemporaneamente anche l'ambito visivo (labirintico/molecolare). Escluse le considerazioni sul risultato estetico di questo progetto, mi sembra comunque un esperimento interessante nel mondo della discografia pop...
    Qui c'è un trailer sulle app: http://www.youtube.com/watch?v=dikvJM__zA4
    e qui un piccolo video su alcuni strumenti particolari realizzati appositamente per l'album: http://www.youtube.com/watch?v=gRh-O5iLo80

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  2. Zeno, il riferimento è pertinentissimo e Biophilia è entusiasmante.
    Questi approcci sono preziosissimi. Grazie per i link!

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  3. Ieri ho assistito alla performance alla Gaité Lyrique. Maze è stato presentato durante una sessione di improvvisazione curata dai creatori e da un duo di percussionisti - una batteria e un vibrafono. Maze veniva proiettato su cinque schermi, uno grande al centro e quattro piccoli ai lati. Il gruppo produceva pattern ritmici utilizzando suoni di synth un po' anni '80, comunque molto godibili. L'impressione è stata più che positiva, e con Maze gettiamo un nuovo sguardo (piuttosto singolare: vediamo una griglia o un "pavage" pentagonale di un piano che muta caleidoscopicamente) su questo tipo di contesti musicali. Forse il punto critico e allo stesso tempo intrigante - che non è unico a Maze, ma è anche proprio di altri sistemi tecnologicamente avanzati dedicati alla performance - è l'opacità del meccanismo di funzionamento e la seduzione che ne deriva. Ovviamente basta un giro sul sito, o una conversazione con gli sviluppatori, per capirne di più - in fin dei conti è come quando apriamo un pianoforte e vediamo i martelletti che percuotono le corde. Secondo me l'aspetto esoterico è un punto forte, sul quale si potrebbe riflettere, e che comunque stimola sempre la nostra curiosità.

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