domenica 14 ottobre 2012

Divertimento Ensemble & /nu/thing

La prenderò un po' alla lontana, per avvalorare la tesi finale, raccontando di alcuni pensieri recenti. L'ennesima eccezione alla linea dei miei contributi in questo blog, ma in continuità con alcuni aspetti centrali dell'iniziativa /nu/thing: situazione della musica contemporanea in Italia (e per gli italiani interessati-interessanti), proposta di musica scritta dalle giovani generazioni e "stato ibrido autoriale": compositori (non musicologi, non critici) che però parlano.
In Italia c'è un avvenimento che è comunque molto importante per la nuova musica e che si chiama Biennale Musica. Sono rientrato da poche ore da Venezia e preannuncio che non ho alcuna intenzione di fare osservazioni sulle scelte della programmazione artistica (il Festival fu ben presentato da Raffaele). Intendo però parlare di un certo clima che mi ha sfiorato, trovo importante descriverlo per capire il contesto in cui si colloca l'iniziativa che di seguito presenterò.

Da un paio di chiacchiere con critici sulla cinquantina ho colto una (troppo ovvia?) delusione per i giovani compositori presentati (delusione brutalmente generalizzata e a tratti espressa con una malcelata gioia). Dalla lettura di un paio di articoli di critica leggo della esaltazione per le parole di Boulez (Leone d'oro alla carriera) e al contempo del "mortifero e banale della Biennale Musica 2012" (i nomi dei banali non si fanno). Dalle "maniere, dalle noie" ci salva Boulez stesso (EIC), Cage (Irvine Arditti), Sciarrino e Ferneyhough (Mario Caroli) e una flautista sexy.
Il punto (che poi è una domanda) è questo: la critica che elogia Boulez, lo ascolta quando parla?
Nell'intervista a seguito della premiazione, Boulez stesso ci dice dell'importanza di suonare un'opera una ventina di volte per poi iniziare a poter "interpretare" la stessa. Tutto ciò è OVVIO per chi scrive musica, allora mi chiedo, è giusto porre sullo stesso piano di "riuscita" un "Sur incises" fatta dall'Ensemble Intercontemporain e una prima esecuzione di un giovane molto meno conosciuto magari da parte di giovani interpreti?
Il parametro di giudizio, per tenere viva una dimensione costruttiva, non dovrebbe essere suscettibile dell'analisi del contesto (se non di una qualche lettura della partitura)?
Sul serio siamo arrivati al punto da non riuscire più a distinguere le punte di nuovo (da cogliere! sforzatevi almeno un po'!) dal repertorio iper-storicizzato?

Non ho un coltello tra i denti, sono tranquillamente contro la vaghezza di una situazione auto-referenziale, per uscire dalla quale ritengo doveroso un impegno della critica musicale italiana. Gli effetti della crisi non si limitano ad impedire grandi produzioni in Italia, obbligano gli artisti a pagarsi viaggi e ostelli per poter produrre al meglio una loro opera, obbligano giovani compositori (già riconosciuti all'estero) a scrivere per la volontà di farlo, per "rinnovare il mondo" (Boulez) si accettano coscientemente dei compromessi: pochi soldi, poche prove... tutto ciò non garantisce il capolavoro, lo ostacola, costringe direttori artistici a chiedere sforzi ad autori e interpreti (che accettano comunque volentieri perché ci credono!). Possibile che dalla critica non ci sia uno sforzo di indagine ulteriore, almeno per togliere la tara prima di un pesante giudizio generazionale?

Punto di svolta del post: c'è qualcuno in Italia che cerca di colmare il vuoto lasciato dalle produzioni occasionali e dalle programmazioni nostalgiche?
La risposta è sì, più d'uno (non molti), ma particolarmente e oggi voglio parlarvi del Divertimento Ensemble.

Per il lettore comune del blog, il gruppo milanese è già conosciuto. Uno dei pochissimi esempi in Italia che sia riuscito a creare (e mantenere) una propria stagione: Rondò. Uno dei pochissimi che, a fronte della pur limitata sicurezza di una regolarità di produzione, non si è chiuso nella programmazione "sicura" della musica contemporanea codificata.
Se l'EIC era l'ensemble di Boulez, l'Itinéraire era degli spettralisti, se l'Algoritmo si concentra su Fedele e Sciarrino, l'Ictus su Romitelli... il Divertimento è l'esempio italiano di riferimento per i giovani. Sì, italiano, perché se all'estero ci sono risorse per far crescere ensembles attorno a compositori (Asamisimasa/Steen-Andersen – Nadar/Prins – Quatuor Tana/saturazionisti...), nel nostro paese queste risorse non ci sono e basta, e l'interesse del Divertimento per le giovani generazioni sembra voler colmare questo vuoto. Il Divertimento ci prova, crea movimento con residenze per giovani compositori, con corsi per interpreti e direttori (punto centrale! vedere quanti ensemble sono nati dopo i corsi dell'Ensemble Modern di Francoforte...), con progetti che coinvolgono bambini nella interpretazione di brani contemporanei scritti ad hoc, e poi una iniziativa che ci tocca da vicino "Carta bianca ai giovani". Un direttore artistico che parla con compositori ed interpreti è raro, uno che addirittura li cerca per avere sollecitazioni è ancora più raro, uno che affida a dei giovani la direzione artistica di un concerto è assolutamente unico. Di questo si tratta.
Sandro Gorli (direttore artistico del Divertimento Ensemble) ha affidato a /nu/thing la concezione di un concerto della stagione di Rondò 2013, concerto che si terrà a Milano il 6 Marzo prossimo.

Dopo un mese di mail e una due-giorni a Brescia (circa un trentina di lavori alla scrematura finale) i nuthingiani hanno proposto questo programma:


Valerio Murat
Visez au coeur !!!
per ensemble, video e elettronica

Ann Cleare
unable to create an offscreen world (C)
per ensemble

- 30 seconds tape by /nu/thing -

Silvia Borzelli
Stalagma
per pianoforte

- 30 seconds tape by /nu/thing -

Stefano Bulfon
Giostra di cristallo
per pianoforte

- 30 seconds tape by /nu/thing -

Daniele Bravi
Solo
per pianoforte

- 30 seconds tape by /nu/thing -

Mauro Lanza
Aschenblume
per ensemble

Yannis Kyriakides
mnemosist S
per ensemble video e elettronica


Ci tengo a ribadire un aspetto, non è si trattato di una "call for scores" segreta (ovvero semplice scelta dei lavori), l'approccio di una direzione artistica (a più mani) si è rivelato da subito più complesso, per la gestione delle risorse, la valutazione del contesto, l'architettura del concerto... parere personale: esperienza bellissima. Ci sono due lavori con elettronica e video molto diversi tra loro che aprono e chiudono il concerto, una preziosa "isola pianoforte" centrale (con intermezzi elettroacustici composti dai compositori /nu/thing) e due lavori per ensemble strumentale. Senza alcuna logica di compromesso si sono delineate da subito molte strade possibili, con nomi di compositori da noi molto amati, questa è stata la scelta definitiva, che indubbiamente (ma anche ovviamente) è parziale rispetto a tutta musica che avremmo potuto proporre (i concerti hanno dei vincoli come molte cose buone).

Non mi dilungo oltre, chiamo gli altri a contribuire con pareri e aneddoti (Andrea Agostini che improvvisa una quarta di Mahler con una chitarra in mano alle 2 del mattino). La soluzione è nell'esempio e questo del Divertimento vogliamo venga colto come una strada possibile e necessaria di dialogo e lavoro coordinato piuttosto che come una provocazione o un tentativo. Tesi finale: prendete esempio dal Divertimento Ensemble. In ogni caso, grazie Sandro.

24 commenti:

  1. Finora ho letto tutti i post di questo bellissimo blog, ed è arrivato il momento di esternarvi un pò di gratitudine.
    Se la critica continua a cullare gente come Boulez e rimane diffidente verso nuove e fresche voci nostrane, è forse anche perchè ha la sua stessa età…
    Io non oso pronosticare gli sviluppi e le sorti della musica (con)temporanea nè della critica che la riguarda; mi preme però dirvi che realtà come il Divertimento, e la rete di giovani compositori italiani che sto scoprendo - per ora virtualmente, presto spero di persona - stanno riscattando la sfiducia che tutti gli amici/colleghi/musicisti m'hanno trasmesso quando ho deciso di tornare in Italia dopo 4 anni via.
    Mi preme dirvi che quello che state facendo e cercando di far crescere, per un compositore come me - nato alla fine degli '80 - è di enorme aiuto, conforto, stimolo, riferimento.
    Ok che in Italia non c'è questo e non c'è quell'altro, manca qui, manca là. e il paraculo lì e quello là. e il raccomandato giù e quello su, e i pochi soldi, ecc. Però. Però. Intanto mi godo questo momento di grande euforia, nel quale ascolto e scopro giovani italiani che mi piacciono o con cui comunque condivido molte idee, che mi rispondono subito alle mail anche se non ci siamo mai visti, che gentilmente m'aiutano se chiedo loro di dare un'occhiata alle partiture.
    E poi, forse è anche per quello che trabocco d'entusiasmo, andare (ieri) alla Scala e godersi il Klangforum Wien diretto da Furrer, è un'esperienza che vale. Nell'attesa del "Concertino d'autunno" il 31 Ottobre, del concerto con la vostra programmazione a Marzo e nell'attesa di tantissime altre cose.
    Grazie Divertimento e grazie nuthing.
    Zeno.

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  2. Marco, molto giusto quello che scrivi.
    Quella del Divertimento è un'esperienza che fornisce numerose possibile risposte alle problematiche che sollevi, e concordo molto quando lo individui "come una strada possibile e necessaria di dialogo e lavoro coordinato piuttosto che come una provocazione o un tentativo".
    Bellissimo il programma e molto interessante la sua drammaturgia della serata; sarà un piacere esserci!

    p.s.: non ho capito bene: ma allora poi come bis c'è Andrea che improvvisa tutta la IV di Mahler con una chitarrina da falò su spiaggia? o ho frainteso ...?

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  3. Sono pienamente d'accordo con te, Marco, sulla questione critici.
    Come te sono rientrato da qualche giorno dall'esperienza Biennale. Che ho trovato piuttosto interessante, ma soprattutto per me un momento di riflessione e scoperta.

    Eppure mi è capitato in questi giorni di leggere cose alquanto banali di alcuni critici che etichettano le nuove leve come "giovani scolari" che a quanto pare si sono dilettati con "esercizi di stile"....
    ....mentre invece che musica quella di Boulez, Dufourt, Cage, Feldman....

    Ho anche letto titoloni imbarazzanti, ma lasciamo perdere...

    Quello che fa davvero male è come questo tipo di critica, superficiale e opportunista, affondi sempre il coltello nella parte "debole" del comparto musicale.
    Non c'è stata una, e dico una, critica positiva sui giovani fra tutte le recensioni che ho letto. Roba che se presa sul serio dovremo chiudere baracca e cambiare mestiere.

    Però (perchè un però c'è sempre) i giovani "non particolarmente apprezzati" in Biennale, sono tutti sistematicamente programmati all'estero in enti e manifestazioni importanti..chissà come mai...

    Non sarebbe dunque il caso, cari critici, di lasciare il campo in favore di persone più giovani, magari dalla mente più fresca?
    Così potreste godervi il vostro Boulez in santa pace a casa, in disco.

    Bene per il progetto Divertimento, come dire, ci divertiremo.



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  4. Mah, io parlo per i quattro concerti che ho visto, e non voglio nemmeno entrare nello specifico. La cosa per me lampante è che sono stati quattro concerti completamente diversi. Ciascuno con i propri punti forti e punti deboli. Però sono stati quattro concerti molto diversi, non vedo come si possa fare una critica mettendoli insieme in un unica grande categoria di "maniera e noia". Ripeto: non ho però seguito bene il resto della rassegna, quindi la mia considerazione, se volete, è parziale.

    In ogni caso, la cosa che fa più male secondo me è l'assenza dei nomi. Ben vengano delle stroncature, ma fatte come si deve: compositore, brano, punti deboli... Sparare nel mucchio è alla stregua di una vigliaccheria, i critici che lo fanno non hanno desiderio né motivazione a mettersi in gioco. E allora non è vera critica. Voglio pensare che taluni articolisti omettano i nomi per risparmiare ai compositori una gogna. In realtà la buona intenzione è deleteria per tutto l'ambiente. Una vera critica si mette in gioco facendo nomi e cognomi, nel bene e nel male. Anche a costo di passare più paragrafi sulle stroncature che sui panegirici. E una vera critica prende in considerazione non solo i brani, ma anche – come dice Marco – le condizioni, le possibilità, i cammini personali. E anche noi compositori questo lo accetteremmo in ogni caso più volentieri (anche quando, come non di rado accade, ciò che viene scritto non ci piace).

    PS. Carlo: no, niente bis chitarristico agostiniano, credo che però a breve apparirà un CD "Switched on Mahler"... :D

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  5. Dimenticavo: grazie Zeno per le tue parole. Credo di poter parlare a nome di tutti nel dire che ci gratificano e ci impegnano ancora di più.

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  6. Parlare dei giovani è sempre troppo facile e sempre troppo difficile.
    Che però non ci siano occasioni in Italia di esecuzione, questo è semplicemente vero.
    Non ho molto da aggiungere a questo, e lo dico con una punta di polemica e provocazione.
    Per il resto mi accodo a quanto detto da tutti gli altri.
    In bocca al lupo per la nuova esperienza del Divertimento Ensemble.

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  7. Cari tutti,
    innanzitutto voglio esprimere il mio apprezzamento per l'iniziativa di Sandro Gorli: pensare ai compositori, agli interpreti, agli ensemble, al pubblico stesso come a una comunità di persone che interrogando la musica interroga se stessa, significa sentire in profondità la necessità di aprire le porte del proprio universo creativo agli altri, soprattutto ai più giovani che con più freschezza e forza pongono e si pongono domande.
    Sarebbe davvero bello se la critica tornasse a far parte di questa comunità, dispensando ai compositori e agli interpreti non più pagelle compilate in fretta e furia secondo preconcetti e certezze, ma ben più costruttivamente ponendo interrogativi, domande, dubbi, svolgendo dunque la propria vera missione che è quella di stimolare, attraverso il dialogo, l'approfondimento delle idee e non la loro valutazione.
    Devo dire che di questi tempi ancora più miserabile appare la superficialità di certi giudizi quando questi si applicano nei confronti di una generazione che per trovare spazi di espressione spesso (quasi mai per scelta) ha dovuto farlo in altri paesi, grazie ad una desertificazione culturale alla quale in Italia non è stato opposto alcun argine critico.
    Il fatto poi che le pagelle siano consegnate utilizzando come postino anche le testate della sinistra più a sinistra rende il tutto tragicamente comico.
    P.

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  8. Vorrei aggiungere un punto di vista sulla questione della critica. Premetto che sono parte in causa visto che, in quanto giovane (categoria un po' ridicola visto che sono più vicino ai 40 che ai 30, ma questa è un'altra storia) programmato in Biennale ho ricevuto pure io la mia parte di stroncature.

    Immagino un concerto dove un mio pezzo per pianoforte viene programmato a fianco della 111, la quarta Ballata di Chopin e la Fantasia op. 17 di Schumann: arriva un critico e dice che Andrea Agostini non è proprio all'altezza dei compositori del passato. Questo signore, siamo tutti d'accordo, sta mancando clamorosamente il punto - no? E lo sta mancando per una quantità imbarazzante di ragioni, così ovvie che mi vergogno a elencarle: il fatto che le tre opere storiche che ho citato siano tra i massimi capolavori riconosciuti della letteratura musicale mondiale, e che siano state selezionate e distinte dalla massa lungo quasi due secoli di ascolti e riflessioni, ne è solo la più macroscopica.

    Come sempre, scrivo di Chopin per parlare di oggi - anche perché se no a che ci servirebbe Chopin? A me pare che tutti gli articoli che abbiamo letto e citato prendano le mosse da questo enorme errore metodologico, e per questo motivo mi sento di dichiarare apertamente e obiettivamente che chi li ha scritti non sa fare il suo mestiere di critico. Non è solo troppo facile sedersi in una sala da concerto forte di un accredito stampa, prendere due appunti del tipo "mi piace non mi piace", condirli di qualche frase fintamente intelligente per dimostrare che si è parte di un'élite culturale e pubblicarle su un giornale che viene letto da centinaia di migliaia di persone: e non è solo disonesto, come è già stato sottolineato in altri commenti a questo post: è anche profondamente, desolantemente cialtrone.

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  9. Hai molto ragione Andrea. E dunque questi critici hanno un nome? i loro articoli sono on-line? perché io credo che un confronto civile, non uno scontro quanto un dialogo che parta proprio dai contenuti che si vogliono difendere, sia possibile e necessario, a maggior ragione quando le posizioni sono così antitetiche. Penso potrebbe essere un momento di presa di posizione a difesa delle proprie idee che favorirebbe sicuramente la comprensione dall'esterno del nostro operato, del perché delle nostre scelte. E contemporaneamente imporrebbe ad entrambi un argomentare sfaccettato che sarebbe, io credo, sicuramente interessante come fatto artistico-sociale.

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  10. Ero al festival Play It! (Firenze) ieri ed oggi, e stamattina c'è stato un incontro molto interessante tra editori (c'erano Suvini Zerboni e RaiTrade), compositori (oltre a Battistelli che moderava il dialogo, ce n'erano diversi in sala) e critici (Angelo Foletto, di Repubblica).

    Purtroppo per prendere un aereo ho dovuto scappare prima della fine, ma ciò che ho ascoltato mi ha fatto molto piacere, perché mi è parsa una presa di coscienza collettiva del problema che Marco ha ben esposto in questo post. Ciascuno ha le sue ragioni, e questo è molto chiaro, e nessuno dovrebbe essere esente da autocritica. Ad apologia della critica odierna, Foletto sottolinea alcuni punti molto giusti: spazio ridottissimo sui quotidiani (come si tratta esaustivamente qualcosa in 500 battute?), aumento del numero di prime esecuzioni (come si fa a seguire tutto?), moltiplicazione dei linguaggi (come si fa a stare al passo?), cambiamento nella concezione dei festival (non più ideologizzati, ma "fotografia" delle diversità: come si fa ad essere esaustivi?). Alcuni punti invece mi sembrano discutibili, e mi stimolano alcune riflessioni:

    1 - durante la conversazione, si è preso per assioma condiviso che "siamo tutti nella stessa barca", e quindi i critici non sono "dall'altra parte di una barricata". Personalmente non mi sembra un valido punto di partenza. Sono l'ultima persona al mondo che cerca lo scontro, tutt'altro: il dialogo tra critici e compositori è oggi più che mai importante. Ma c'è un momento in cui questo dialogo deve lasciare spazio a una presa di distanze, e a un "abbandono della barca", altrimenti ho l'impressione che si dia un altro autoreferenziale giro di vite.

    2 - Foletto sottolineava come spesso il compositore fornisca dettagli oscuri, reticenti o perfino fuorvianti nelle note di sala, non facilitando il compito al critico. Mi chiedo: non è che nella maggior parte delle situazioni di oggi (a differenza forse di qualche decennio fa) forse il critico dovrebbe leggere le note di sala come ultima cosa? Se un compositore vuole essere reticente ne ha tutto il diritto: il suo parlare è attraverso la musica – esecuzione e partitura. "Guide all'ascolto" importanti per aver chiavi di lettura di alcuni pezzi negli anni sessanta e settanta, oggi diventano spesso pleonastiche o aneddotiche, talvolta inutili, o perfino dannose...

    3 - Non sono un esperto e non ho fatto statistiche, ma credo sia vero che il numero di prime esecuzioni da seguire è aumentato (benché credo sia purtroppo diminuito il numero di "seconde esecuzioni", altro grande problema di oggi...), e che seguire tutto in modo soddisfacente è impossibile. Allora perché non decidere di seguire solo qualcosa? Non è forse meglio una critica che selezioni i concerti da seguire, o i compositori da mettere sotto la lente di ingrandimento, piuttosto che una critica che spalmi tutto quanto con generiche etichette o categorie? Se l'attenzione non può essere dappertutto (legittimo!), da compositore preferirei che non sia polverizzata e dispersa, ma che sia concentrata piuttosto su un numero più piccolo di brani. Queste scelte, che forse una volta non erano poi così necessarie (se vogliamo anche per polarizzazioni ideologiche), ora devono essere responsabilità della critica. In questo senso, può essere un ruolo "nuovo", ma forse necessario e stimolante.

    Sarebbe molto bello che qualche critico prendesse parte a questa nostra discussione appassionata...

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  11. Grazie a tutti per i vostri commenti, in particolare a Zeno e Paolo che per la prima volta scrivono qui, ci fa molto piacere e ci da ragione in merito a questa iniziativa. In definitiva concordo con quanto voi scrivete, anzi, mi solleva il fatto di non essere il solo ad avere questo genere di pensieri. Colgo il giusto richiamo di Carlo, gli articoli da me letti (implementabili nella lista... ) sono i seguenti:
    Mario Gamba http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/ricerca/nocache/1/manip2n1/20121012/manip2pg/13/manip2pz/330047/manip2r1/biennale%20venezia/
    Angelo Foletto "Biennale Musica i suoni del futuro vengono ancora dal Novecento" (link non trovato...sigh)
    Alberto Arbasino http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/10/18/musica-da-cameretta-benvenuti-al-festival-dei.html?ref=search

    variamente incolonnati... sarebbe bello (come dice Daniele) se la loro penna potesse scrivere in questo blog.

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  12. sarebbe bello se da questa pagina uscisse una iniziativa di confronto tra compositori e critici, sulle orme di Firenze, ma magari senza editori e con più compositori e critici... in ogni caso mi sembra che non è più il caso di ignorare e fare spallucce.

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  13. Ciao. Anche io concordo su tutto quello che dite. Meno con quello che dice Foletto quando si lamenta del numero di battute e/o parole: esistono blog e internet in cui si possono scrivere romanzi. Ieri ho potuto parlare un pò con Paolo su questa tematica, e lui ha pronunciato una parola molto importante: la "comunità musicale". Se il critico si mette fuori dalla comunità e giudica senza porsi il problema delle condizioni di lavoro e di realizazione, senza sforzarsi di capire e di dare il suo contributo al miglioramento generale della "comunità musicale" (Gamba é scandaloso in questo senso e Foletto anche - ma come si fa!!) non aiutano nessuno, danneggiano un mondo già estremamente danneggiato, in Italia più che da altre parti. Mi é capitato di ricevere critiche, e su riviste on line erano paragrafi interi di argomantazione. Perché nessuno lo fa da noi? Gamba, argomenti meglio e più i suoi giudizi! Per ritornare all'idea di "comunità" é fondamentale che i critici, come i compositori, si mettano di buona volontà a dialogare e scambiare opinioni che possano fare il bene degli uni e degli altri, e quindi del pubblico, in primis. Mi associo a Marco invitando i critici a partecipare a questa discussione sulle pagine di questo blog nato, quasi, dalla disperazione!

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  14. Riporto qui gli articoli, non fosse mai che i siti relativi sparissero ad un certo punto, lasciando vuota un'importante pagina di "critica" musicale.

    Quello di Foletto ha cambiato nome, e al momento si trova qui: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/10/14/il-futuro-della-musica-ancora-il-novecento.html

    Lo copio integralmente in modo da avviare, se volete, una discussione sui contenuti:

    Il futuro della musica è ancora il Novecento
    Con oltre sessanta prime in una settimana, era difficile che il fitto programma della Biennale Musica di Ivan Fedele potesse soddisfare tutti. Mai segnali musicali scaturiti dal torrenziale palinsesto di "Extreme", compendiato dai nomi di Pierre Boulez (Leone d' oro alla carriera nella toccante serata inaugurale) e di Antony Braxton (in quella conclusiva), hanno dato ragione anche alle scelte che, in esecuzione, hanno deluso, come il programma dedicato alla giovane e ingenua avanguardia russa (Nikolai Popov, Kirill Shirokov, Alexander Khubeeve Yotam Haber). Ha vinto, e convinto, l' idea di fare un censimento-campionario delle molteplici possibilità della modernità musicale non di consumo, racchiusa per comodità nel dualismo stilistico massimalismo-minimalismo. Senza (pre)giudizi storici o critici. Anche se non c' erano dubbi ascoltando l' ipnotico Piano, Violin, Viola, Cello (1987) l' ultimo lavoro scritto da Morton Feldman, inedito per l' Italia e valorosamente suonato dal Quartetto Klimt, I am sitting in a room (1970) eseguito con ieratica e sorniona presenza dall' ultraottantenne autore Alvin Lucier o lo storico In C di Terry Riley (1964), vitalissimoe cangiante nella realizzazione dell' inedito gruppo strumentale che univa i due migliori complessi italiani (Alter Ego Ensemble e Ex Novo Ensemble), che l' audacia visionaria e radicalmente affrancata dai sistemi compositivi ordinari del Novecento di questi emblematici (capo)lavori è insuperata. Tant' è che nonostante la cura strumentale dell' Alter Ego, il resto della giornata americana (musiche di Perich, Friare Mario Diaz de Leon) aveva interesse solo per gli altri pezzi di Lucier. E il recital-perfomance del percussionista Simone Beneventi, chiuso in una sorta di gabbia-installazione col suo armamentario, s' inarcava con il ricostruito Golfi d' ombra di Romitelli e Dufourt più che con gli esercizi di stile di Trevisi, Grimaldie Agostini. Non diversamente, della serata con orchestra rimaneva il ricordo del solista al bayan Germano Scurti, protagonista di Fachwerk di Sofia Gubaidulina, pezzo recente che intreccia anima cupa e scienza, seppure con gesti più contorti e caotici del solito, piuttosto che gli inoffensivi brani di Bettina Scrypczak e José Luis Campana, mentre la pochezza della FVG Mitteleuropa Orchestra ha invalidato l' occasione per meditare su Concerto for piano (1957) di Cage. La bravura dei musicisti-interpreti italiani è stata giustamente celebrata dalla Biennale, che ha assegnato il Leone d' Argento al Quartetto Prometeo, protagonista del primo programma cameristico e quindi frazionato in altre formazioni. Bellissimo, dopo quello di Mario Caroli, il recital di Federica Lotti, flauti e voce. Da sola (nel sottile e inedito Classifying the thousand shortes sounds in the world di Claudio Ambrosini) e con l' interazione fantasiosa dei live electronics di Alvise Vidolin ha sostenuto un programma esemplare, dando suono e teatro all' ambizioso e forte Alle tacenti stelle di Luigi Sammarchi e al postfuturismo di Per la meccanica dei flauti di Agostino Di Scipio. Nella stessa sala del Conservatorio, il giorno prima Luca Richelli e Marco Gasperini, talentuosi discepoli di Vidolin, hanno proposto una voluttuosa rivisitazione di Imaginary Landscape n.5 e, con la tastiera di Marija Jovanovic, di HPSCHD di Cage. BIENNALE MUSICA Concerti e performance varie, Venezia, dal 6 al 13 ottobre

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  15. Articolo di Mario Gamba:
    http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/ricerca/nocache/1/manip2n1/20121012/manip2pg/13/manip2pz/330047/manip2r1/biennale%20venezia/

    Se la musica flautistica diventa ultra-free...

    Ci salverà Federica Lotti dagli effetti nefasti delle miserie festivaliere? Un ottimo ricostituente ce lo dà di sicuro. Contro il mortifero e il banale della Biennale Musica 2012, che purtroppo non manca e opprime, assorbiamo dosi forti dell'arte di una flautista vitalissima e delle musiche che ci offre. Virtuosa del suo strumento e della voce, che tira fuori chissà da dove ed usa in modo incantevole. Performer arguta morbida ed esperta. Sexy innegabilmente sulla pedana della Sala Concerti del Conservatorio. Suona con tutto il corpo e questa è proprio una gioia. Sceglie bene i titoli del suo récital.
    Il pezzo di Luigi Sammarchi, per esempio. Fascinosissimo. In prima esecuzione assoluta, e così una volta tanto anche il grande vuoto delle Biennali Musica, le novità di rilievo (non le solite cosette di giovani scolari), è in parte colmato. Dapprima suoni tenui aspirati dello strumento in Alle tacenti stelle - Ipazia. La voce di Lotti quando entra, con sussurri, è eroticissima. Si assiste a un vero convegno amoroso sonoro (non platonico). Più avanti la musica flautistica diventa ultra-free, e l'elettronica naviga accanto, liquida, spaziale. Poi, anche lirismo senza nostalgie. Gran livello anche di Classflying the Thousand Shortest Sounds in the World per flauto solo, senza suoni sintetici, di Claudio Ambrosini, uno dei grandi maestri in cartellone. Anche questo è un lavoro totalmente nuovo. Lotti soffia nel flauto e zufola, si ascoltano suoni secchi puntati alternati a volute capricciose. Risale al 2000 il pezzo di Agostino Di Scipio Per la meccanica dei flauti. Con elettronica. Lo strumento è suonato in percussione sui tasti, dal nastro arrivano suoni «animali» assai attraenti. L'andamento è piacevolmente «nevrotico».
    Ci salvano, dalle maniere, dalle noie, anche John Cage e il suo profeta nell'occasione, il violinista Irvine Arditti. Tutti i quattro libri dei Freeman Etudes, scritti tra il 1977 e il 1990. Una sfida infernale. Cage voleva realizzare l'utopia di far eseguire una musica ineseguibile. Non ci riuscì con Paul Zukofsky, un virtuoso bravissimo. Scrisse solo due libri di Studi che rimasero lì. Arrivò Arditti, li suonò con una certa disinvoltura, nonostante le difficoltà mostruose. E Cage scrisse altri due libri. Novantacinque minuti senza interruzionedente e concentrato, impegnatissimo e scioltissimo alla Sala delle Colonne di Ca' Giustinian.
    L'inventiva di Cage è stupefacente in questo ciclo di musiche che sposano appieno il piacere sempre nuovo dell'avanguardia, di quella cosa, cioè, che il recente revisionismo musicale ha messo all'indice. Suoni aguzzi, suoni traslucidi, suoni iperuranici. Sottilissimi fili di suono spezzati, altri suoni in rapporto tra loro di vera melodia. L'idea dell'informale si accoppia con l'idea di una composizione studiata al millesimo, costruita, organizzata. Nel mezzo dell'esaltazione di una scommessa sul possibile e vitale e divertente, persino, dell'umano contro l'impossibile tecnico.

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  16. Articolo di Alberto Arbasino
    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/10/18/musica-da-cameretta-benvenuti-al-festival-dei.html?ref=search

    del quale ci sono anche interessanti discussioni e dibattiti su facebook, se qualcuno avesse voglia di approfondire l'argomento.

    noto una specie "voglia di Bortolotto" già a partire dal titolo:

    MUSICA DA CAMERETTA BENVENUTI AL FESTIVAL DEI SUONI LAMENTOSI E LIQUIDI

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  17. Dopo una total immersion di vari giorni nel 56° Festival Internazionale di Musica Contemporanea, intitolato «+Extreme-», alla Biennale veneziana, ecco qui. Si pongono questioni. Se invece di esecuzioni in luoghi prestigiosissimi - Sale delle Colonne o degli Arazzi, Palazzo Pisani, le Tese all' Arsenale - con un pubblico tipicamente di élite e festival, i medesimi pezzi venissero offerti agli abbonati (dunque abbastanza "iniziati") di una stagione concertistica attuale? Al Conservatorio milanese o nell' Auditorium romano, come si "recepirebbero" le monotonie così estremamente inespressive dei minimalismi da camera già vecchiotti? Qui, giacché anziani, si ricordano i furori di Fedele d' Amico, a certe remote Biennali nelle epoche di Contestazione, quando in preda al Decentramento tutti gli ospiti del Festival venivano faticosamente spostati dai loro alberghi in centro al teatro Toniolo di Mestre. In occasione dell' opera-ragtime Treemonisha, ritmata sui cari tempi di «Guarda guarda guarda il bel pinguino innamorato - col colletto duro e con il petto inamidato». Ma si era pochissimi, in sala, i mestrini non erano venuti, e così ci si era decentrati per niente. Oltre tutto, nell' attuale centenario di John Cage, si legge che ovunque viene eseguito con coreografie inventive e quindi ovviamente protagoniste, come per esempio a Roma. E vedendo sui programmi che un pezzo può avvalersi di parecchi clavicembali e molti nastri magnetici, mentre sulla scena gli strumenti sono pochissimi, naturalmente lo spettatore si domanda chi ha fissato la presunta aleatorietà pre-determinando il programma e la scelta delle sirene d' ambulanze e sfrigolii e cinguettii e la ripetitività degli sbattimenti di cassetti e sportelli. Nonché l' «ita missa est», e la durata o la ripetitività degli applausi. Sempre davanti a un pubblico di specialisti immobili. Altro che quei bei tempi di Einstein on the Beach, quando si poteva uscire, prendere un caffè e rientrare, tanto lo spettacolo di Bob Wilson e Philip Glass pareva sempre allo stesso punto. Davanti ai quartetti numerosi e seriosi, senza coreografie né happening, l' impalpabile (ma non certo imperdibile) monotonia del suono lunghissimamente protratto, malgrado mille increspature galeotte ma noiosette, sovente produce un effetto di musica di fondo per ascensori. Con scricchiolii e stridori lamentosi, applausi striminziti per un clavicembalo elettronico digitale, ma forse a tratti scolastico. Dunque, tentazioni aleatorie di applaudire e uscire a guardare i vaporetti quando la faccenda appare un po' troppo causal e "ad lib".

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  18. Fingere un happening? E se al bar, al pianterreno, la colonna sonora è altrettanto alternativa e ripetitiva, sarebbe naturale chiedersi come sarà possibile trasmettere per radio o registrare su cd e dvd soffi "estremi" così fievoli e poco udibili benché le sale siano molto più piccole di un teatro tradizionale, o anche della sala più minuscola all' Auditorium romano. Ma con quale musica si faceva l' amore nei locali o a casa, decenni fa? Austero come Buster Keaton, ancora per John Cage, un percussionista in camice bianco da cuochino agita e sbatte severamente barattoli e padellini batteristici come preparando un "cereghin"o una "russumata" a una televisione mattutina. E si rimpiange che a quei tempi non si usassero ancora i telefonini: indubbiamente il Maestro li avrebbe usati subito, tra i vari comfort modernissimi, le accordature di strumenti, i lamenti e sogghigni, i princisbecchi e le protrazioni casuali. Non appare invece utilizzato l' usignolo dell' Eiar: chissà con quale strumento si realizzava «Della radio l' usignol - stamattina ha preso il vol». Suoni assai "liquidi", invece, in quel "non-luogo" che appare adesso il salone del «B. Marcello». Denotano una acquaticità come in acquari con pesciolini, mentre dal soffitto malmesso si scrostano le effigi di Bellini o Chopin, e vanno squamandosi sui ciuffettini e gli orecchini e i codini e le sopracciglia ritoccate intente a Paesaggi Immaginari ormai fermi e fissi nonostante le nuove tecnologie che consentono e autorizzano "live electronics" e regìe del suono con una grossa tiorba, cioè un chitarrone senza metafore circa liquidità, liquidazioni, liquefazioni, ecc. Alle Tese, all' Arsenale, altre sorprese col "bayan", praticamente una efficace fisarmonica forse parente del "bayòn" di certe canzoni sudamericane della nonna. Ivi Germano Scurti, somigliante a un Vendola giovane, ha incominciato a contorcersi fin dall' inizio. E questa estasi espressiva con bocca spalancata l' ha proseguita fino al termine. Una buona alternativa a Piazza San Marco è apparso piuttosto un Langsamer Satz di Anton Webern: evidentemente derivato dalle sue esperienze di café chantant, come Schönberg. Qualche musica per ascensori poteva generare cupaggini a causa del forte volume e del timbro scuro. Ma peggio fu il quartetto di Morton Feldman, con pianoforte e la durata di un' ora e un quarto, e la pretesa di porsio esistere come evento unico e assoluto, mediante la ripetizione e variazione minimale di un limitato numero di pregnanti figure. «Raffinate strategie compositive? Affascinanti sospensioni della memoria»? Ma mi faccia il piacere? Per un' ora e un quarto?

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  19. «Se piove e vaghi per la città - senza nessun pensier - domani il sole ti rasciugherà», si cantava nelle riviste di Wanda Osiris, nelle analoghe circostanze di sgocciolìo. Il Leone d' oro a Pierre Boulez gli arriva un po' tardi, a 87 anni piuttosto evidenti. Quanti decenni sono trascorsi da un suo Debussy metallico, «come d' alluminio», dunque opposto ai decadentismi di De Sabata, a un remotissimo Maggio Fiorentino... Ora, con questo sur Incises, per tre pianoforti, tre arpe, tre percussioni, e parecchia soddisfazione interiore, ha prodotto un altro capolavoro per cui valse la pena di recarsi qui fra le scomodità stagionali. Così come l' anno passato, al Conservatorio milanese, per il suo Pli selon pli. Scriveva allora: «Io dò per acquisito, tramite la lettura, il senso diretto della poesia di Mallarmé; ritengo che i dati che essa comunica alla musica siano assimilati e posso quindi giocare su gradazioni variabili di comprensione immediata». Ma davvero può credere che i testi di Mallarmé siano alla portata di studenti e intellettuali italiani che hanno come seconda lingua l' inglese-americano, e lo conoscono anche male? Ci sono differenze fra L' Azur del poeta franceseei nostri contesti con una squadra Azzurra o la canzone Azzurro ove Celentano si dispiace perché «Neanche un prete per chiacchierar». «Eh, certo, anche un Rimbaud in tedesco diventa altra cosa». Ma fra i giovani francesi, quanti oggidì possiedono una tale familiarità con Mallarmé e con Boulez per potere apprezzare il rapporto fra «Une dentelle s' abolit» e la sua musica? Ma non bisogna scherzare, qui. Anche l' amico Roland Barthes si rabbuiava quando «la carne è triste e l' intestino è pigro, signore mie, leggete qualche libro». O se si proponeva che il Cygne di Mallarmé fosse piuttosto un Signe, nel trionfo della Semiotica. © Alberto Arbasino

    Attenzione: vinti da un'indomabile voglia di plagio, fate attenzione che l'articolo è protetto da copyright! e meno male...

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  20. Ciao a tutti!
    Innanzitutto complimenti per la vostra iniziativa: /nu/thing mi sembra uno spazio molto importante per la musica contemporanea. Anzi, tanto più importante quanto maggiormente partecipato – ed è questo che mi auguro – da compositori più o meno giovani, appassionati di musica, professionisti e dilettanti. È presto per pensare a una specie di piccola “primavera araba” (riferito alla musica contemporanea, fa sorridere, lo so!) nata da un blog; la vostra iniziativa mi sembra d’altra parte un segno incoraggiante di volontà di prendere posizione, quando molti sembrano dediti, ben che vada, a coltivare con cura il proprio orticello.

    Si ritorna al discorso già affrontato: in un panorama culturale in cui tutto viene accettato (o rifiutato) con una indifferenza livellatrice, le prese di posizione sono un segno vitale. Se non lo sanno fare i critici, lo faranno i compositori.

    P.S. Alla lista dei critici che hanno parlato della Biennale si può aggiungere Enrico Bettinello del «Giornale della Musica» . Propone un curioso e assai anacronistico scontro “USA VS Russia”, che in realtà si può leggere, ancora una volta, come scontro “storia VS presente”: con una netta presa di posizione a favore degli USA, ovvero di Feldman, Lucier, Riley, della storia insomma (e non certo a favore di più giovani leve americane, che sicuramente non mancano).

    Buon lavoro a tutti!

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  21. Ciao! Grazie del sostegno! Lo avevo visto quell'articolo. Anche il sig. Bettinello forse potrebbe delucidarci un pò meglio sull'interesse di questo confronto. Speriamo. Per ora nessuna risposta.

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  22. Mi unisco al coro entusiastico per la vostra iniziativa. C'è proprio bisogno di una “cosa nuova”.

    Per quanto riguarda le critiche cui si fa riferimento qui devo dire che sono rimasto abbastanza colpito. A mio parere sono fortemente influenzate da preconcetti di carattere ideologico, in tutte le declinazioni più deteriori che il concetto può assumere.

    Si dice che uno spettatore, quando si appresta a vedere un film, stringa una sorta di accordo con il regista, un accordo in cui accetta di entrare nel suo mondo e di credere a quanto succederà e vedrà sullo schermo, per quanto inverosimile possa essere. E' la conditio sine qua non: se viene a mancare questa complicità la “magia” del film non può avere luogo.

    Ecco, io credo che chi si accinge ad ascoltare un pezzo di musica – contemporanea in primo luogo, ma non solo – in qualche modo debba stipulare col compositore un patto analogo. Se non ha la libertà culturale per poter a quello che si ascolta niente può accadere e, di conseguenza, di niente può scrivere.

    La cosa può essere più o meno spontanea, ma fintanto che si rimane inchiodati a un qualsiasi genere di assunto pregiudiziale – preconcetti generazionali (“l' audacia visionaria e radicalmente affrancata dai sistemi compositivi ordinari del Novecento di questi emblematici (capo)lavori (scrive di: I am sitting in a room, 1970 e C, 1964) è insuperata”), culturali, estetici (ad es. nell'utilizzo di aggettivi quasi “fantasiosa” o “spaziale” per descrivere l'elettronica, anche se con accezioni positive), addirittura gestuali (“Ivi Germano Scurti, somigliante a un Vendola giovane, ha incominciato a contorcersi fin dall'inizio. E questa estasi espressiva con bocca spalancata l'ha proseguita fino al termine”) – niente può accadere.

    Ora, al netto delle dovute considerazioni secondo le quali le critiche negative “tirano” di più di quelle positive e se proprio bisogna dire qualcosa di buono, si va sui più o meno classici che così non si sbaglia, a mio avviso questi articoli appaiono così vuoti perché chi li ha scritti non è stato in grado di accettare la di cui sopra, cioè, in sostanza, di liberarsi delle proprie ideologie.

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  23. Grazie mille Simonluca e Rocco per il sostegno! E grazie Carlo per il prezioso lavoro di recupero dalla rete!I vostri contributi ci fanno sentire meno "soli", non parlo dei /nu/thinghiani (agli autori dei post poco importa di essere percepiti come "gruppo") ma in generale di chi si occupa di cultura musicale. Ecco, mi fa piacere cogliere un punto: il nostro (di tutti) "dedicarcisi" anima e corpo esige l'impegno di chi scrive parole. Esige, forse, una nuova prossemica della critica, più empatica e magari pronta a sacrificare (in nome dell'oggetto della critica) alcuni filtri ideologici che fino ad ora l'hanno auto-determinata. In questi ultimi due anni ho incontrato e ho visto in azione diversi critici della "vecchia scuola", sono rimasto impressionato dal rigore, dalla curiosità, dal rispetto nei confronti di ciò che non si conosce. Nel caso di qualche loro successore, tale rigore pare essersi confuso con un atteggiamento di difesa di ciò che forse Simonluca definisce "ideologico". Non a caso alcuni di questi diventano direttori artistici, scrivono libretti... cosa programmano?con chi collaborano? Non è, per ora, una critica mirata alle molteplici declinazioni recenti delle loro posture, ma da queste attività emerge un dato: tutte seguono logiche italiane, quasi mai europee. I loro grandi colleghi (direttori artistici) europei, molto spesso ci chiedono: e il disagio aumenta nel fare loro nomi, quando poi capita che in Francia o Germania si ascoltino tali "scelte artistiche" italiane, beh, sinceramente, lì è la fine. In questa logica le parole di Foletto o Gamba sono comprensibili, ciò che hanno sentito a Venezia è quantomeno un buon spaccato di ciò che gira al mondo, forse il rendersi conto che "si sono persi un mondo" fa male. Un'ultima nota su un punto giustissimo toccato da Daniele: esistono i blog, esiste la rete. Riconsiderino anche il mezzo. Sempre più interessanti sono le recensioni (e i recensori) sul web rispetto alla carta stampata, è una tendenza?

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