lunedì 29 ottobre 2012

Lucas Fagin - Arquetipo



Con il post di oggi intendo presentare un compositore che viene dall’altra parte del mondo, da quell’America latina, riserva naturale di grandi talenti che sembra sempre di più un’Italia vista al “macroscopio”, da dove i giovani fuggono in cerca di possibilità, di cultura, di formazione. O semplicemente in cerca di sogni. 

Lucas Fagin, classe 1980, è un eclettico compositore argentino, formatosi fra il conservatorio di Buenos Aires e il CNSMDP di Parigi che ho avuto la fortuna di incontrare svariate volte sul mio cammino, una su tutte la finale del concorso internazionale Takemitsu di Tokyo. Esperienza indimenticabile per entrambi. 

Dove ho avuto la possibilità di conoscere non solo la sua musica, che personalmente reputo in generale molto interessante, ma anche il lato umano, aspetto da non sottovalutare quando si disquisisce sulla produzione artistica di un individuo. 

Come nel caso di Casale, presento qui un brano per orchestra. Sarà che in questo periodo sono fortemente affascinato da brani dalla grande forma e di grande impatto timbrico. La mia curiosità e voglia di comporre un nuovo lavoro per orchestra mi ha portato a rispolverare alcuni brani che avevo in archivio, e fra i tanti mi è ricapitato fra le mani questo pezzo, che al tempo (nel 2009) mi impressionò molto, avendolo ascoltato dal vivo, e in un certo senso visto “montare” pezzo dopo pezzo durante le prove con l’orchestra.

Il titolo del brano è “Arquetipo”, e come l’autore spiega si tratta di un pezzo ispirato da un disegno, uno schizzo effettuato da lui stesso e intitolato inizialmente “Visión estática del todo” (visione estatica del Tutto) e che a livello grafico presentava già dei tratti “musicali” e strutturali, e che in via germinale aveva una sorta di divisione formale in vari episodi, che saranno poi intitolati: Expansión Universal, Cometa, Ramificaciones, Dragado de Masa, Remolino y Articulaciones

Secondo gli scritti del compositore egli non ha fatto altro che trascrivere a livello sensoriale un’immagine mentale primitiva: “la storia o fisiologia di un universo, che a forza di introspezione è affiorata in primo luogo in forma di idee sonore, poi di immagini ed infine in musica scritta.” 

Questo particolare accomuna fortemente il mio modo di lavorare a quello di Lucas; fu infatti una delle cose che più mi stupì quando ne parlammo durante una lunga passeggiata nell'allora piovosa capitale nipponica. Ed è anche per questo motivo che presento il suo lavoro. L’aspetto sinestetico, per dirla alla Messiaen, è un evento radicale insito in noi stessi, e la musica si manifesta spesso primariamente sotto altre forme, rendendola criptica, quasi inaccessibile a volte. 

A titolo di curiosità il disegno è riportato nel link youtube dove è altresì possibile ascoltare il brano. A mio avviso la massa orchestrale non è concepita su basi funzionali tradizionali ma piuttosto come un assemblaggio di solisti. Non ci sono segni o punti di riferimento tendenti a strutturare il tempo, si rovinerebbero i ponti della memoria. 

La frammentazione nel discorso strumentale crea a sua volta una sorta di instabilità timbrica costante che tende a disarmare l'ascoltatore, creando una dissoluzione retroattiva e continua del discorso musicale. Come scrive lo stesso compositore “il pezzo è un sentiero che si dissolve dietro di noi, ad ogni passo”. 

Uno degli aspetti più interessanti della ricerca espressiva e della poetica di Lucas sta nell’utilizzo di tecniche estese, indagine profonda del suono e modalità esecutive estreme, molto spesso inusuali, soprattutto di stampo lachenmanniano. In Arquetipo ne fa un largo impiego, in soluzioni imprevedibili che deformando il suono donano alle sezioni d’insieme delle interessantissime fusioni timbriche. 

Il pezzo è inoltre un omaggio a György Ligeti (molto probabilmente al primo Ligeti) e per l’appunto tale hommage è riscontrabile nel totale abbandono di aspetti armonico-tematici in favore di una musica interamente incentrata sull'elemento timbrico e nel caso di Lucas specificatamente nella sua produzione, abbracciando a più riprese quel fenomeno sonoro codificato come sound mass

A tal proposito cito proprio un pensiero di Ligeti che mi sembra calzante per descrivere in maniera lata questo lavoro: «ci si consenta di usare un’illuminante analogia: il gioco con la plastilina. I vari grumi di diversi colori si disperdono gradualmente via via che si impasta il materiale; il risultato è un conglomerato in cui si possono ancora distinguere chiazze di colore, mentre l’insieme è caratterizzato da mancanza di contrasti. Continuando ad impastare, anche le piccole chiazze di colore scompariranno, lasciando il posto ad un grigio uniforme». 

Un altro punto in comune è riscontrabile nel trattamento, estenuantemente lento, del flusso temporale e dei cambiamenti armonico-strutturali, anche se qui vi è una diversa strutturazione verso impalcature formali dotate di una interessante plasticità. 

Qualche post fa Daniele parlava della scrittura di getto, quella che sgorga dalla penna senza apparenti difficoltà, e alla possibile perdita di forza espressiva nel momento in cui vi è una macchina “razionalizzante”. Ecco, in questo brano di Lucas trovo che emerga una particolare sofferenza di riflessione, estremamente intuibile nei dettagli, una ricerca spasmodica di elementi da mettere ognuno (quasi forzatamente) al proprio posto, minuziosamente cesellato in tutte le sfumature. 

È probabilmente da questo tipo di atteggiamento che nasce una sorta di rigidità generale, ma è pur vero che si tratta di un brano composto in occasione di una manifestazione accademica (il diploma al conservatorio), e probabilmente lo scopo del compositore era proprio di fornire al pubblico un’immagine archetipica, uno spaccato della musica dei nostri anni. Della nostra generazione.

9 commenti:

  1. Mi piace questa frase, Raffaele:

    "la musica si manifesta spesso primariamente sotto altre forme, rendendola criptica, quasi inaccessibile a volte"

    come se fosse davvero difficile, se non impossibile (chissà), conoscere la musica in una maniera assoluta.
    Come se l'idea musicale prendesse spunto e rimandi continuamente ad un "altrove".
    Per conoscere la musica non si può fare a meno di pensare ad altro.
    In questo caso una idea grafica.

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    1. Aggiungo. Questo pezzo non ha una struttura "armonico-tematica"? Chi se ne frega: il pezzo, secondo me, funziona.

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  2. Grazie Raffaele per averci fatto scoprire questo pezzo - e questo autore. Il lavoro è ben ritagliato, le combinazioni timbriche sono molto interessanti, il passaggio dalle une alle altre è curatissimo; suona anche fin troppo bene! E su questo aspetto posso riallacciarmi a quello che dici: la composizione è uno spaccato della musica dei nostri anni. Su questo punto però vorrei aprire una discussione, perché a volte il gioco sul timbro porta a spostare tutto il centro di gravità nel registro medio acuto. I suoni galleggiano nell'aria. Sono nettissimi, non ci sono zone ambigue, la chiarezza è lampante, gli spettri "decantano" da uno stato all'altro, per così dire. Sempre "in alta quota" però. Faccio astrazione dal caso singolo e pongo apposta la domanda provocatoria: perché "deve" essere così? Non è che nella musica che scriviamo esiste un "topos" del registro medio acuto? (ovviamente mi ci metto in mezzo pure io, perché su questo punto mi sto interrogando da qualche tempo). Da dove viene? Perché c'è? Perché ci piacciono gli acuti? E il grave? Ecco, su questo mi piacerebbe un confronto.

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  3. trovo molto interessante ascoltare e scoprire voci "latine" nel ricchissimo panorama compositivo incentrato sul timbro, e il pezzo qui presentato è anche indicativo della tendenza abbastanza generale di cui parla Andrea riguardante lo spostamento di focus - magari inconsapevole - sul registro medio alto.
    Personalmente, ascoltando vari pezzi degli ultimi anni (o decenni), mi sembra proprio una questione di gusto, un grande amore per i suonini lassù, una passione per i cristalli. Andando a ritroso nel tempo, mi vengono in mente però momenti di elegantissima ricerca e gioco timbrico che riguardano pure regioni più gravi e torbide, primo fra tutti Scelsi, ad esempio in un pezzo scuro e misterioso come "Pranam II". Ma anche il già citato Ligeti, in alcuni passaggi orchestrali grumosissimi degli anni '60...
    Ricordo d'aver letto un interessante articolo di Marco Stroppa ("L'esplorazione e la manipolazione del timbro", Biennale di Venezia 1985), dove analizzava e commentava l'approccio di vari compositori al fattore timbro come elemento fondante di una composizione. Quelli erano gli anni '80, e mi sembra che effettivamente, pur rimanendo il timbro un elemento caratterizzante per molte composizioni d'oggi, molte cose sono cambiate...

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  4. Grazie Zeno. Vorrei però fare un passo avanti (se riesco) e cercare di eviscerare quanto sollevato. Si compone attraverso suoni acuti. Dunque non è solo una questione di frequenze, perché in gioco ci sono anche le relazioni che si instaurano fra tutti gli elementi. Mi sembra che il pezzo di Fagin offra all'ascolto una prospettiva molto ricca, allorquando in altri esempi le relazioni paiono meno chiare. Ecco vorrei mettere sul piatto anche la questione della relazione, dunque del linguaggio. (p.s. l'articolo di Stroppa è piuttosto interessante! :))

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  5. Secondo me il gusto per i suoni acuti nasce nel momento in ci si rese conto che i suoni fondamentali o "normali" (chiamiamoli così) non soddisfacevano più le esigenze timbriche dei compositori post-darmstadt degli anni 50. Complice l'estetica di qualche esponente, è divenuta negli ultimi cinquant'anni quasi una moda voler utilizzare solo suoni armonici, elementi al confine dell'udibilità e componenti acute di un timbro, e secondo me in questo brano di ve ne è una esposizione proprio "archetipica".
    Per rispondere alla tua domanda Andrea, a me personalmente piace molto utilizzare sonorità gravi da poter però intersecare con elementi "cristallini", ovvero, cercando di evitare la comune tendenza all'uniformità sonora, cosa che vedo in molti altri compositori.

    Grazie Paride (sono d'accordo sul "chi se ne frega") e Zeno per i vostri commenti, in effetti l'articolo di Stroppa è molto interessante, l'avevo letto tempo fa.

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  6. A proposito: qualcuno sa se l'articolo citato di Stroppa è disponibile in PDF online?

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  7. purtroppo mi sembra di no… io l'ho letto in versione cartacea..

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  8. Ciao a tutti. Forse lo puoi trovare sul sito di Stroppa. Ci sono quasi tutti gli articoli pubblicati.

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