lunedì 2 aprile 2012

Textures

Per offrire al lettore una breve riflessione su cosa sia la texture e del suo impiego in alcuni esempi di letteratura musicale odierna comincerò con un esempio piuttosto semplice. Invito dunque chi legge a compiere una sorta di esperimento mentale.

Si immagini un filo di lana rosa e lo si intersechi con un filo di cotone bianco di egual lunghezza. Si immagini di prendere altre decine di fili rosa e bianchi e di intersecarli fra loro mediante un macchinario adatto allo scopo, come quelli che abbiamo oggigiorno. Avendo intersecato fili fra loro si è formato un tessuto composto di una trama e un ordito (rosa e bianco, rispettivemente). Osservandolo e toccandolo si apprezzeranno le sue qualità fisiche e sensorie, come la ruvidità, la resistenza allo strappo, la varietà cromatica. Continuando col fanta-esperimento si potrebbe anche decidere di frapporre una lente di ingrandimento allo sguardo, nel qual caso si riusciranno a distinguere i fili uno ad uno, e vedere come sono fatti.

Penso che si possa parlare di texture allorquando nell'ascoltare un suono riusciamo ad avere l'impressione uditiva che esso occupi una larga fetta dello spazio frequenziale, e che allo stesso tempo si possano distinguere – o quasi – le sue singole componenti.

Ma questo non è sufficiente per dire che si sta ascoltando un suono tessiturale. E' necessario che tale suono non abbia un profilo temporale preciso, cosicché tagliandolo a un primo istante e ritagliandolo una seconda volta più avanti – o più indietro nel tempo (purché non diventi un impulso) – lo spazio frequenziale non subisca drammatici cambiamenti, o che gli inviluppi rimangano più o meno costanti.

Un esempio estremo di suono tessiturale può essere il rumore bianco. Tutte le frequenze sono egualmente distribuite nello spettro, anche se percepiamo il suono come leggermente sbilanciato verso gli acuti perché le nostre orecchie sono più sensibili in certe regioni che in altre – ecco perché gli intervalli ci sembrano grandi nelle ottave centrali del pianoforte e piccoli agli estremi. Ad ogni modo il rumore bianco non solo è un tessuto, ovviamente. Colpisce per il grado di disordine interno, perché pare che tutto si muova (lo stesso, il rumore rosa).

Ovviamente un suono tessiturale può anche essere fermo – nel senso che le sue componenti non variano nel tempo. Ad ogni buon conto che quelle si muovano tutte o che siano totalmente immote per la percezione è assolutamente la stessa cosa.

Stante questa scarna e forse per certi versi insufficiente descrizione, si può considerare se tale tipo di suono sia stato utilizzato in tempi recenti o meno. Mi sembra quasi di sì se penso a certe aggregrazioni strumentali nelle composizioni di Varèse, dove le combinazioni fra ottoni, legni e percussioni creano accordi dalla densità spettrale piuttosto accentuata, ma nei quali si possono distinguere abbastanza chiaramente le singole componenti.

Ciò che mi spinge però a considerare gli aggregati timbrici che usa Varèse come suoni quasi tessiturali è la loro durata, troppo breve. Ritengo infatti che un suono tessiturale per essere tale debba avere una durata che ecceda le capacità fisiologiche di uno strumentista a fiato – a meno che non sappia fare la respirazione circolare, beninteso... (e vedremo più avanti un esempio celeberrimo). Tradotto in linguaggio meno prosaico, ciò significa che un suono tessiturale installa nell'ascoltatore il sentimento di una qualità temporale che gli fa perdere la percezione di una direzione privilegiata. Dunque tale suono dovrebbe avere una durata eccedente la dozzina di secondi.

In sintesi, possiamo dire che un suono tessiturale deve essere il risultato della coesistenza fra una certa configurazione spettrale e una durata mediamente lunga? Potrebbe, ma non ho risposte certe, posso solo avanzare questa ipotesi.

Ad ogni modo ritengo che la texture appartenga di gran lunga al dominio della musica elettronica, concreta e acusmatica, oppure alle varie correnti del noise o degli ambienti sperimentali nordamericani. Ad esempio, possiamo ascoltare il frammento seguente, tratto dalla Symphony n° 5 di Glenn Branca (Describing Planes of an Expanding Hypersphere).


In questo esempio il pezzo è composto da più texture che si susseguono fra loro, ma che in questo caso sono state piegate verso una direzione scelta – una lenta discesa, che di tanto in tanto fa emergere accordi piuttosto noti – il tutto fatto con un ensemble composto per lo più di chitarre elettriche. Che il pezzo abbia più o meno un esito felice non è il punto preciso di questa breve considerazione – tant'è che si sente che la comparsa degli accordi di dominante provoca un certo effetto retorico, nel bene o nel male.

L'interesse è per me capire come le texture filtrino attraverso diverse esperienze della musica scritta in questi anni – o in anni passati.

Un buon esempio è lo studio sui multifonici dell'oboe di Heinz Holliger: Studie über Mehrklänge (1971).


In questo pezzo sono stati utilizzati solo multifonici – suoni che sono in fin dei conti delle textures – che il compositore ha saputo scolpire benissimo, dandone forme diverse nel tempo, e facendone una drammatizzazione.

Un altro compositore della nostra generazione, Vedran Mehinovic, di origine serba e vivente negli Stati Uniti d'America, utilizza solo tessiture, ma il risultato non è a mio avviso per nulla interessante, o peggio:


Questi due esempi – dagli esiti musicalmente opposti – offrono l'occasione per riflettere su due punti:

1) la temporalità: il suono tessiturale non ha una temporalità definita a meno che non gliela si voglia dare. Se non si lavora sugli inviluppi e sulle durate, e dunque non ci si adopra per scolpirlo ma lo si accetta così com'è, tale suono non va da nessuna parte. Il che non è né un male né un bene, si possono benissimo comporre pezzi giustapponendo textures, a pannelli. Credo però che bisogni prendere coscienza della materia con la quale si ha a che fare. Un blocco di granito nero è una tessitura. Se ritagliamo un parallelepipedo di uno per quattro per nove metri (questo non è di granito, ma lo trovo un esempio interessante) e lo osserviamo lungamente possiamo osservarne ed apprezzarne la rugosità, la grana, possiamo vedere come i diversi frammenti di roccia si interpongono gli uni agli altri – oppure ci viene mal di testa. Questo per dire che probabilmente se un oggetto “grezzo” come un suono – tessiturale soprattutto – viene posto lungamente alla nostra attenzione, possiamo o stancarci immediatamente e spegnere lo stereo, oppure se è abbastanza interessante potremmo decidere di apprezzarne le qualità e immaginare o creare al suo interno un percorso che passi da una componente all'altra del suo spettro, così come possiamo apprezzare la visione dei cristalli di quarzo all'interno della massa granitica, come sono disposti, come si legano alle altre sostanze, e via discorrendo. Così il suono tessiturale viene considerato nella sua ampiezza, nella sua interezza, nella sua durata. E' un approccio a mio avviso del tutto legittimo.

Ad ogni modo l'interesse della composizione sta anche nella varietà che possiamo donare alla materia sonora, e su questo credo che siamo tutti d'accordo. C'è chi lo fa in modo del tutto particolare, distillando gli interventi nel tempo, come Eliane Radigue:


Il pezzo dura più di un'ora, peraltro.

Comunque abbiamo visto diversi modi di trattare le textures: le si scolpiscono (Branca e soprattutto Holliger), non ne si riesce a far nulla (Mehinovic), ci si lavora sopra con delicatezza ed estensione (Radigue).

Aggiungiamo un altro tassello al mosaico: qualche anno fa in occasione di una visita del compositore Frank Bedrossian alla classe del Cursus all'Ircam – incontro in cui presentò qualche suo lavoro saturista – gli posi una domanda del genere: “i suoni che usi – distorti – mi sembra che abbiano una certo grado di velocità al loro interno, ma non so come tu hai a che fare con questo elemento, mi puoi spiegare?”. Lui rispose che in qualche modo la temporalità del suono saturo era marginalmente rilevante – o così compresi. Al contrario io pensavo che la velocità, la densità, la pesantezza di tali suoni fossero la cosa più importante, e che tali caratteristiche non fossero sufficientemente indagate, così come per altri brani estratti dal repertorio del filone saturista. Secondo me certi suoni sono così massivi che forse non ne puoi fare un orpello. Piuttosto prenditi il rischio di “smarmellare” tutto, citando il direttore della fotografia del serial Boris. Ovviamente è un'opinione del tutto personale, come la scelta di questo tema, del resto. Non voglio però aprire – per ora – un dibattito su tale corrente, a meno che questa breve riflessione non spinga il lettore a prendere una decisione in tal senso.

Ad ogni modo vengo al punto 2) e spingo a chiedermi se un suono X – che ha una morfologia qualunque – abbia o meno il “diritto” di essere accettato come tale e scolpito il meno possibile. Qui il campo di discussione è aperto. In questo caso forse sarebbe come esporre una tela bianca in un museo (già fatto... e dunque quale senso avrebbe tale operazione artistica? Si tratterebbe di un lavoro compositivo? Ad ogni modo so di elencare temi vecchi..)

Quello che voglio dire è che il materiale non esiste senza il tempo offerto dalla sua percezione, e che si può decidere in qualche modo di prenderne atto nel momento in cui si scrive o ci si accinge a scrivere. Oppure si può benissimo decidere di non farlo.

Tornando alle textures, a scanso di esempi riusciti o meno nella musica composta occidentale, posso dire che a mio avviso sono comunque morfologie sonore che sono filtrate o stanno filtrando fra diverse esperienze musicali, dal noise, alla musica concreta o viceversa, al repertorio strumentale (saturato o meno).

Penso quindi che sia un elemento interessante proprio perché trasversale, e che abbia meritato una piccola e necessariamente lacunosa riflessione.

23 commenti:

  1. Bel post Sarto..ci sto riflettendo. (TBC)

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  2. Bel post, mi ha fatto porre molte domande e molti dubbi. Ad esempio: quanto è importante la componente "trip" nell'ascolto di suoni tessiturali? In che senso un suono tessiturale fa perdere coscienza di una direzione privilegiata? O forse il suono tessiturale non fa altro che avallare e sostenere la direzione privilegiata per eccellenza (quella del tempo almeno, come più o meno lo riusciamo a percepire...), mentre la scrittura non tessiturale diventa quasi un lottare/scontrarsi/stagliarsi contro il tempo? Forse questo porterebbe a una definizione "estesa" di texture...

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  3. @Daniele. Non so se riesco a rispondere alle tue domande, e probabilmente ne porrò delle altre. Ad ogni modo venendo al primo punto, cioè quello che tu chiami come "componente trip", credo che sia uno stato mentale che a volte può essere innescato dall'osservazione - in questo caso acustica, cioè all'ascolto - prolungato di un suono, ma è più probabile che tale esperienza sia favorita anche da altri fattori che conosciamo. Se non erro Romitelli ci ha lavorato parecchio. Ma che il "trip" si abbia o non si abbia, secondo me la percezione di un suono immoto - vale a dire senza alcuna variazione nel lungo periodo - collocata in una situazione volontaria di ascolto non guida l'ascoltatore verso un punto nel tempo. I meccanismi di anticipazione / delusione non entrano propriamente in gioco - oppure scivolano su altri piani, cosicché nulla ci si aspetta, nulla ci sconforta. Si tratta di un ascolto quasi "atarassico". Feldman ad esempio in qualche caso lo impone. Ricordo ad esempio di quando Franco (Venturini) studiò ed eseguì Palais de Mari di Morton Feldman, dicendo appunto che il pezzo - così come altre opere dello stesso autore - inducesse un sentimento di accettazione dell'oggetto musicale così com'era posto all'interno del flusso. E' chiaro che ciascun autore pone la questione diversamente, secondo le proprie caratteristiche. Ma mi chiedo - e ti chiedo - se ascoltassimo per un'ora il motore del frigorifero acceso, che razza di esperienza acustica vivremmo? (Raggelante....?). In fin dei conti è un suono tessiturale pure quello...
    Passando invece alla domanda seguente, mi pare di capire che il tempo abbia una direzione privilegiata, che è quella dello scorrimento neutro, che va dal passato al futuro, una linea frecciata che noi occidentali tracceremmo sulla carta da sinistra verso destra, con un righello. Su questa base la musica scolpisce le sue forme, e la composizione diventa un'attività di distanziamento / riavvicinamento multivariata da quella stessa linea. Forse posso dire che il giocare sulla distanza fra il "tempo neutro universale" e quello che si scolpisce con le forme del suono è quello che si fa quando si scrive e si ascolta la musica. Ma qui chiedo l'aiuto di Eric: il tempo assoluto come categoria è un'invenzione mirabolante. Newton ci poggia la sua filosofia naturale e la sua scienza. Einstein e Minkowski l'hanno stravolta, perché il tempo è diventato un oggetto flessibile, sposato con lo spazio e con le relatività dei moti. Ma in fin dei conti il suono nell'aria si propaga cento milioni di volte più lentamente della luce per ogni secondo (di tempo neutro universale, ben inteso...), quindi gli ordini di grandezza sono molto diversi.
    Non lo so proprio.. Come dici tu, il "come riusciamo a percepire" è un fattore molto importante. Forse è la musica stessa a suggerire l'attenzione che le dobbiamo o non dobbiamo dare, stante l'impegno volontario che ci mettiamo. Ma anche qui, la questione è apertissima!

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  4. @tutti
    la questione della textue in questo senso non l'avevo mai considerata. Il la prendevo sempre come una morfologia stabile e immobile (Ligeti alla grossa). Invece come la tratta AndreaS mi pare che metta in risalto la velocità interna al suono, o la componente temporale neutra del suono. Insomma il mattone su cui si compone, la base del timbro. Questa velocita, o essenza per me, del suono. C'è un idea di visione del suono, di focalizzazione sulla radice stessa della sonorità.
    Il tempo assoluto non è tanto un invenzione mirabolante per me. Si tratta di una convenzione. E l'uomo che organizza in griglie per semplificarsi la vita. Per questo in qualche modo il tempo non esiste, percepiamo lo scorrere, il movimento e quindi il tempo. Per riallacciarmi a una questione in sospeso la musica è il massimo della fiction. é la costruzione totale che ha fatto credere a tutti di essere naturale. Fino a farci divenire il tempo talmente percepibile da cominciare a sentirlo naturale. é quella specie di contorsione a cui ci siamo abituati, per vedere, sempre, il mondo al contrario... (tbc)

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  5. Ho l'impressione di sbagliare, ma mi pare di avvertire, in questa idea della texture, come una rottura di un equilibrio ricercato nel corso dei secoli, oppure come una storia dell'evoluzione del suono.

    Mi spiego: il grado di saturazione era molto basso nel medioevo, per poi crescere ed arrivare nel '900 a sonorità sempre più dilatate. Forse potrei fare un esempio banale, ma penso al famoso accord di terze di Mahler (a proposito, è una texture anche questa? filtrata, magari?).
    Ebbene, il '900 ha raggiunto una saturazione sempre maggiore, tanto che si è arrivati al concetto di rumore bianco, per indicare un evento acustico in cui sono comprese tutte le frequenze (a mio parere, però, questa è una illusione: in ogni caso c'è sempre un limite a questo, dovuto alle tecnologie, agli strumenti e al nostro grado di percepire i suoni).
    Insomma, abbiamo ricercato e quasi ottenuto, in questi secoli di ricerca musicale (voluta o non voluta), una sorta di "pangea" sonora in cui c'è tutto: dal semitono alla tonalità, tutto è lì dentro, sta al compositore estrarre (filtrare) i suoni.

    Devo ammettere che la texture come oggetto in movimento è una novità anche per me: si ha un'idea della texture come oggetto immobile, statico, forse talvolta più adatto a fungere da sfondo, da commento, che non a divenire soggetto in grado di evolvere e ad essere elaborato.

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  6. @Paride
    Personalmente non leggo la texture "per sottrazione da qualcosa" (ma probabilmente ho frainteso il tuo punto riguardo al nesso tra texture e pangea sonora: nel qual caso, me lo chiarificheresti?). Quanto alla dinamicità, pensandoci bene, tutte le texture che considero come tali hanno una componente dinamica fortissima. Quelle che non ce l'hanno sono fasce, ma questo per me è un'altra cosa.

    @Eric, @Andrea
    La questione ci riporta alla domanda delle domande: che cosa è il tempo?
    Andrea, citavi la relatività generale: è un modello che comprende una nozione di tempo, ma resta un modello, per quanto affascinante. Un modello che si incolla bene, certo, con la realtà: è ormai un dato di fatto che il tempo (qualsiasi cosa sia) è, come lo spazio, una "lunghezza d'arco", che dipende dal "cammino" dei singoli osservatori. Quindi certo, il tempo assoluto è una convenzione, epperò è una convenzione che funziona. E tutto sommato trovo che le differenze relativistiche tra i nostri tempi nell'ascolto di un brano siano totalmente irrilevanti. Però, riflettendoci, rilevante è la dipendenza dalla "velocità" con cui il nostro cervello "processa" i dati sensoriali che gli arrivano. Per cui un'ora di noia è un'eternità e un'ora di azione passa in un baleno. Ebbene, questo processare non presuppone forse passaggi neuronali a velocità che renderebbero invece interessante un approccio relativistico? Ma, a quanto ne so, la relatività generale non può funzionare nell'infinitamente piccolo; magari in futuro una teoria del tutto ci darà un nuovo modello di tempo, che spiegherà la nostra percezione dello scorrere.
    O ancora forse sto mischiando due cose: il tempo e la percezione del tempo. Che potrebbero pure essere la stessa cosa (anzi, se interpreto bene la tua idea di non-esistenza del tempo, per te, Eric, lo sono). Ma io mi illudo ancora per un poco che non lo siano.

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    1. Forse sono stato troppo riduttivo, focalizzandomi solo sul rumore bianco, e su alcuni tentativi di rappresentarlo anche con gli strumenti classici, non elettronici. Ma mi viene da pensare che certe esperienze abbiano voluto cercare di rappresentare quanti più suoni contemporaneamente. In questo senso io sto leggendo (ora) una texture, cioè come sottrazione: scelgo io i fili con cui costruire la mia trama, e così scelgo i miei suoni. Potrei usarli tutti (cosa quasi impossibile da fare), oppure ne uso solo alcuni.

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    2. @Daniele e a tutti.
      Che cosa è il tempo? "Se me lo domandi non so rispondere, se non me lo chiedi so cos'è". Sant'Agostino rispondeva così. :) Ad ogni modo le trasmissioni elettrochimiche sinaptiche viaggiano a velocità inferiori credo - e comunque gli elettroni sono abituati a viaggiare con v=C :). Oppure forse il tempo e la sua percezione sono la stessa cosa. La musica forse canalizza i cammini temporali individuali secondo un passo comune - oppure no - e quando ascoltiamo dimentichiamo il tempo assoluto e ci sintonizziamo su quello percepito - e guidato - dalla forma dei suoni che udiamo. C'è uno studio del sociologo Alfred Schutz sulla fenomenologia della percezione musicale che ho trovato molto interessante consultare; sta nella pubblicazione "Frammenti di fenomenologia della musica", a cura di N. Pedone. Ad ogni buon conto, tempus fugit. ;)

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  7. Ciao. Mi interessa il libro che citi. Tutto il discorso sulla texture mi sembra però un discorso fuori musica. Nel senso che la texture in se non mi interessa, può farlo se diventa musica. Ma allora non mi interessa più perchè cerco di ascoltare la musica, che è cosa più complessa di una morfologia. Che ne so. La texture mi sembra il panorama dietro la gioconda, una cosa che non parla e che si fa guardare, come una bella bambolina. Ma che in fondo non dice nulla. Non saprei. La questione della texture può avere sviluppi percettologici e fenomenologici sul fatto sonoro in sè. Ma poi? (tbc)

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  8. @eric
    Sono in completo disaccordo, perché penso alla texture come qualcosa che parla oltre a farsi guardare. Ad esempio, secondo me il nucleo centrale di questo dipinto di Tobey è tessiturale, ma parla eccome.
    Però forse siamo in disaccordo su che cosa intendiamo come texture.

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  9. La texture in sé è nuda, così come l'intervallo di quarta. Il problema è se nei pezzi fatti con texture il compositore vuole intervenire in senso scultoreo, e i due esempi estremi sono Holliger e Radigue; nel primo le forme cambiano nel tempo cronometrico. Nel secondo si scolpisce pochissimo in un tempo lungo. Un altro atteggiamento è quello del compositore che prende un rumore bianco e lo manda a un altoparlante per un tempo equivalente alla durata del funzionamento dell'altoparlante stesso prima che il suo cono si frigga (qualche anno?) - allora lì avrei qualche perplessità, e la musica lascierebbe lo spazio ad altro (ma cosa poi?). Il punto è se la scultura del suono implica o suggerisce un ascolto piuttosto di un altro. E quindi, cosa vuole dire che ciò che si ascolta è musica o invece un surrogato. Dunque Eric direi che il tutto sta nella composizione (altro vastissimo campo di discussione, su cosa vuol dir comporre). Secondo me il discorso sulle texture non è fuori musica, ma può benissimo starci a cavallo. Sicuramente è problematico. :)

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  10. Non vedo una texture in Tobey, vedo un quadro.

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  11. @eric
    Non ho mai tessuto le lodi della texture come elemento artistico autonomo, ma è interessante vederla come parte di in una poetica. E il cuore de quadro di Tobey resta per me è un procedimento tessiturale.

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  12. Va bene, sono d'accordo. Però è un pò come dire che il cuore del concerto in sol di Ravel è un procedimento politonale.

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  13. Con le dovute proporzioni, se vuoi sì. :)
    Poi certo, categorizzare un procedimento per fortuna non esaurisce la sua poetica. Ma forse certi procedimenti sono essi stessi, in un certo qual modo, una prima scelta poetica (e altri meno).

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  14. Tra l'altro, e non so perché me ne rendo conto solo ora, secondo nell'esempio di Holliger non mi pare di vedere texture. I multifonici sono sempre tenuti per troppo poco tempo perché io inizi ad avere quella sensazione...

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  15. Secondo me i suoni sono spettralmente delle texture, temporalmente non proprio, perché sono scolpiti nel tempo. Forse il discrimine è proprio quello, cioè la temporalità. ....To think about..

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  16. Arrivo tardi alla discussione e al blog, che apprezzo moltissimo.
    Allora incuriosito, dico la mia in maniera sconclusionata e sconclusionante.
    Evito il tema fertile della pittura; il cervello ragione diversamente se sente o se vede, e dipende anche da cosa vede e cosa sente, per cui i paragoni anche se hanno scopo esemplificativo, confesso che a me creano confusione (c'è un interessante libro su questo di S. Zeki "La visione dall'interno").
    Chiaro che il tema della texture-trance ammicca l'attenzione; penso già agli introiti delle messe del '600, o al polifonismo di Tallis, o al qui habitat etc.
    O molto prima, ad esempio i riti di iniziazione accompagnati dai cimbali e sistri antichi che, opportunamente amplificati dalle cavità della terra e opportunamente suonati a ritmi costanti e molto forti, creavano quindi una texture in cui la trance poteva iniziare.
    non così lontani dalle esperienze di Merzbow, solo con mezzi differenti.
    Texture anche i primi 30 secondi degli Altenberg Lieder di Berg (fra l'altro con interessanti in questo senso richiami orchestrativi extra-occidentali...)? i primi dubbi...
    Texture e trance; cioè trance come conseguenza di una particolare texture; d'altra parte la trance si può ottenere in molti modi.
    Ad esempio mi chiederei se una sostanza psicotropa è un fatto musicale; così come la caverna greca, o una sala da concerto; il contesto è musica; direi di sì.
    Certamente la ripetizione gioca un ruolo decisivo; non solo nelle texture, ma in genere (come ad esempio nei melismi alleluiatici); fermandoci alla texture, direi non la ripetizione, ma la ridondanza., cioè quell'insieme di tecniche amplificatorie che tengono ad annegare ogni voce in un suono amalgamato il più possibile.
    Vi sono vari tipi di ridondanza, cioè la ridondanza si può scrivere in molti modi, tecnicamente. ma non è questo il punto.

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  17. Dire dunque, parlando in maniera attuale: vedo due strade: l'una che sposa la causa della fusione, costanza dell'energia spettrale, costanza dei picchi adsr etc, l'altra che invece punta tutto sulla distillazione degli elementi "imprendibili" delle componenti sonore, ovvero la strada che studia la velocità e le proprietà entropiche degli agglomerati.
    Alcune sono "piene" altre "vuote", ma condividono una serie di proprietà ed il risultato non è detto che sia così lontano.
    è chiaro che per fare in modo che queste proprietà è necessario un tempo, ahimé/fortunatamente difficilmente quantificabile a dispetto di molti studi fenomenologici. Sicuramente una nozione di tempo oggettivo aiuta, ma mi sembra sia una nozione che in musica ha avuto delle ripercussioni compositive solo in tempi recenti.
    Questo intendendo il tempo oggettivo come tempo cronometrico, ma lì ho serissimi dubbi e non è questo il luogo.
    e d'altra parte esistono molte tipologie di tempo, per cui sarebbe lunga...
    Direi che il caso di Hollger è un caso di omogeneità timbrica locale, più che un esempio di texture; lasciando da parte la nozione temporale, che è spinosa, mi pare l'esempio metta in luce come una delle proprietà di una texture sia una polivocalità che permetta, riprendendo le parole di Andrea, una trama e un ordito.
    Ma forse allora la texture è un problema anche quantitativo ; e allora come dire quale sia la soglia minima, o la massima?
    E dunque, circa la domanda 1) di Andrea, come porsi di fronte alla questione della temporalità in rapporto al grado di lavorazione di un oggetto musicale come una questione non soggettiva?; per assurdo potrei stancarmi immediatamente anche di un suono molto lavorato o innamorarmi per delle ore di una sinusoide, come accenna al punto 2); ancora una volta il contesto come ineludibile parametro analitico.
    Tutto questo per dire sconclusionatamente, che secondo me la texture, intesa come entità concettualizzabile, non esiste, ma è sempre una semplificazione di un fenomeno complesso multiparametrico che, finché non si delimitano cause ed effetti, rimane sempre un po' liquido anche se molto stimolante.

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  18. Ciao Carlo! E benvenuto a bordo! :)
    Ho bisogno di rileggere un paio volte quello che hai scritto, prima di fare commenti che abbiano un minimo di senso. Ma intanto ero curioso riguardo a una cosa che non credo di aver capito benissimo: che cosa intendi precisamente riguardo alle due strade (fusione vs. entropia)? Mi faresti qualche esempio?

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  19. ciao Daniele; è un piacere!
    Allora spezzo il discorso in 2 perché il blog non vuole, giustamente, fiumi di parole.
    Vedo nella storia della musica 2 strade principali di quella che stiamo chiamando texture; la prima ha come principio quello della fusione, ovvero massima omogeneità timbrica, controllo (più o meno consapevole) di una costante energia spettrale, scrittura di ogni adsr strumentale tesa ad annullare il transitorio. I canoni ligetiani sono un esempio, ma anche lo Spem in Alium è così, laddove i transitori delle consonanti passano in secondo piano rispetto al gioco imitativo ridondante. La texture in questo caso ed in generale per me è una conseguenza comunque a più tecniche di scrittura (come è il caso del canone ligetiano, delle prolazioni rinascimentali, fino ad arrivare per provocazione al rumore bianco in cui infinite sinusoidi di infinite frequenze rimangono costanti in un tempo infinito). In questa ottica, come anche in quella relativa alla strada entropica" il tempo, o la percezione del tempo, viene messo in secondo piano. Se vogliamo possiamo dire che la trance di cui si parlava è sempre una sospensione del tempo, sia percepito, oggettivo, cronometrico, vissuto, o atteso (categoria importante musicale, ma del quale si sa ancora quasi nulla), Direi che in questo caso, è possibile che la durata di questa texture permetta, per chi lo vuole, un'analisi all'ascolto in diretta di molte proprietà musicali del pezzo.
    Altri esempio di texture di questo tipo che mi vengono in mente al volo sono le prime cose di Penderecki, ma anche un certo tipo di drone-metal, quello meno "distorto", dove per distorsione intendo proprio la componente di aumento dell'instabilità spettrale che fa sì che che sia propria forse più alla seconda categoria che non alla prima. drone-metal light, per così dire; alcuni Biosphere e simili gruppi con leggere derive ambient. Ma gli esempi sono molti di più.

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  20. seconda strada; quella entropica.
    torno agli introiti del '600, alla ridondanza anche improvvisativa che serviva per "fare pubblico" (un aspetto non secondario di quella che stiamo chiamando texture: la funzionalità, spesso sottesa, sempre in ambito "non colto"). Le tecnice compositive possono coincidere, cioè possiamo avere canoni, prolazioni, simulazioni di delay, tutte tecniche che sviluppano il tema della ridondanza come fattore costitutivo; é chiaro d'altra parte che si possa avere texture senza una tecnica precisa. Curioso notare come procedimenti ferneyhoughiani siano riconducibili a tecniche di prolazione, canoniche, solo con ritmi e metri complessi e con note sbagliate :)
    Cito Ferneyhough non perché sia compositore di texture entropiche; forse le sue prime cose si avvicinavano di più, ma il suo pensiero è sempre stato contrappuntistico, cioè tendente alla valorizzazione delle parti e non mirato ad un effetto di amalgama. Per cui all'ascolto se un primo tempo la sensazione è di percezione indistintadi una serie di forze, poco a poco il cervello seziona e sezionando attribuisce delle funzioni retoriche, formali etc. Per cui a questo punto la texture come l'abbiamo intesa non si ha più. RImane il dubbio che trasportando una qualsiasi sua opera 2 ottave sopra non si abbia una musica meravigliosa e molto più interessante, ma questa è una provocazione.
    Alcune produzione di quelli che chiamate saturisti mi sembrano andare in una giusta direzione. Premetto che la qualità dei compositori è molto diversa, e anche la produzione. E che inoltre il termine saturismo per quanto bello è stupido appunto perché la saturazione è argomento musicale dalla notte dei tempi. Ma mi sembra non infruttuoso fare un parallelo tra ad esempio In Vivo di Cendo e Venereology di Merzbow, oppure Metal Music Machine di Lou Reed o brani del genere: l'intento direi scientifico di indagare senza compromessi la parte del registro più instabilie, quella acuta, e con modaliatà esecutive miranti proprio ad una produzione molto "sporca" con parole semplici ha come conseguenza proprio la stessa indefinitezza, al stessa impossibilità e non necessità di segmentazione, lo stesso effetto di apriori temporale degli esempi di texture della "prima specie".
    Ecco, mi sembra le differenze e le similitudini siano un po' queste.

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