lunedì 22 luglio 2013

Yeah yeah yeah

Visto che stiamo per entrare nel pieno della canicola estiva, questa volta non voglio annoiarti con una lunga requisitoria sulle varie magagne della musica contemporanea - sociali, musicali, politiche, etiche, economiche, potrei andare avanti a lungo...

Ti voglio invece parlare (però brevemente, paratattico, strofa ritornello e via, i tre minuti di una facciata di 45 giri) di una mia grande e per nulla segreta passione: il rock'n'roll. Yeah yeah yeah.



Dopo una lunghissima infanzia imbevuta di sinfonie classico-romantiche e cori di montagna (daddy's favorites), a un certo punto frugando tra vecchi dischi di mia madre e dei miei zii ho scoperto il rock. Niente a che vedere con l'osmosi, piuttosto un colpo di fulmine a piedi nudi, tra la fine delle elementari e l'inizio delle medie, e almeno in parte una scelta - per questo, probabilmente, un evento più decisivo, folgorante, problematico.

Oggi nella mia musica finiscono strutture ritmiche che ho imparato dai Led Zeppelin; quando faccio sintesi sonora ascolto e riascolto gli Eurythmics per essere sicuro che i suoni siano vivi; certe armonie che mi piacciono guardano tanto allo spettralismo quanto ai voicing di Jimi Hendrix.

Potrei andare avanti a lungo: ma la parte più interessante per me non è questa.

Ti voglio invece parlare di ciò che mi sfugge, delle sfide ancora aperte, di ciò che intravedo ma non ho ancora afferrato - lo afferrerò mai?

Per esempio, la maniera in cui il rock'n'roll, questo stupido ballo per adolescenti americani prevalentemente bianchi (e più in generale il pop, certo, almeno quello buono, mentre il rock che non so mai bene se ne sia un sottoinsieme mantiene anche quando fa schifo una specie di sua dignità almeno metalinguistica, almeno sociologica, almeno urban-suburban-etnografica, ma comunque stavolta non andremo tanto per il sottile) è diventato nel giro di un pugno di anni bandiera controculturale, laboratorio politico, fucina di audacia musicale (con tutto il mondo, Miles Davis, Ravi Shankar, Bernstein, Berio, Ligeti, chiunque avesse un po' di buon senso, che si voltava a vedere che diavolo stava succedendo) e infine, persa forse per sempre ma chissà la carica disturbante dei primi decenni, "musica d'oggi" (l'unica attuale, l'unica vera) per quelli che hanno studiato, quelli che leggono libri, quelli che vanno alle mostre, al cinema, a teatro, e anche per chi insegna, scrive, dipinge, fa film, les artistes et les intellectuels, tutti tranne ovviamente i professionisti della musica contemporanea.

Per esempio, meccanismi produttivi che a volte davvero mi sembrano gli unici sensati, piccole società di creazione collettiva che compongono, suonano, registrano, promuovono il loro materiale.

Per esempio un approccio ibrido che non è, se volessimo riportarlo alle tassonomie di casa nostra, né propriamente cameristico, né propriamente sinfonico, né propriamente vocale-strumentale, né propriamente elettroacustico.

Per esempio una, cento, mille vocalità libere dalla schiavitù anacronistica del dover sovrastare, povera Brunilde nel mezzo di un Götterdämmerung, un'intera orchestra.

Per esempio la capacità di provocare un pensiero ampio, di produrre tra le altre cose una critica come la vorrei per noi, che parli del senso delle cose, connotazioni, implicazioni, significati, contesti, politica, piuttosto che del segno in sé - apri il sito di Robert Christgau, vecchio stronzo che adoro, o sfoglia Blow Up dove tra l'altro ho letto di Xenakis, Varèse, Nova, Verrando.

(Poi sì, certo che ci sono le magagne: che la gran parte del pubblico ama solo ciò che non pone problemi, che la macchina multimiliardaria dello show business mastica e sputa tanti giovani di belle speranze, che il talento non è affatto l'unica qualità che conta nella scelta di chi diventerà una star e chi no. Ma, fatte le debite e puramente numeriche proporzioni, siamo sicuri che il mercato della musica contemporanea sia così diverso?)

Potrei andare avanti a lungo ma non lo farò - prima dovrei pensarci meglio.

Ti voglio invece raccontare, la coda di questo post disordinato, un po' di musica - rock e dintorni - che mi piace ascoltare quando fa molto caldo:

Fela Kuti & Africa '70, "Zombie", quando il sole brucia, ma anche al tramonto
The Flaming Lips, "Yoshimi Battles the Pink Robots", per il pomeriggio e a volte il cielo stellato
Jane's Addiction, "Nothing's Shocking", estati dell'adolescenza
Leonard Cohen, "The Songs of Leonard Cohen", di sera, di notte, e poi a un certo punto dice mosquitos…

… e potrei andare avanti a lungo…

2 commenti:

  1. GRAZIE ANDREA!! mi sto ascoltando tutto.

    RispondiElimina
  2. anche io! così ho qualche voce nuova da portarmi in macchina, altrimenti per le vacanze "on the road" mi vengono sempre proposti i Beatles, Bach o Ligeti... preparerò qualche cd su questo rock'n roll da proporre al marito! ;)

    RispondiElimina