lunedì 13 maggio 2013

"Rassegno le dimissioni dalla Nuova Musica"

Desidero qui riassumere, e in parte tradurre, l'articolo del musicologo e critico Michael Rebhahn, "I Hereby resign from New Music", che sarà pubblicato sui Darmstaedter Beitraege zur Neuen Musik, Vol. 22, nel 2014. Gli argomenti sollecitati si riallacciano al nostro primissimo post sulla morte della musica contemporanea. Questo testo continua il dibattito allargandolo a un contesto internazionale. Potete scaricare il testo originale qui.

Il problema toccato non è più la morte della musica contemporanea ma piuttosto il radicale cambiamento del sistema di produzione e diffusione della musica di ricerca: le accademie di oggi si basano sulle avanguardie di ieri e la musica che definiamo contemporanea non ha più, se mai lo ha avuto, un impatto o almeno un dialogo con la società attuale.

Condivido i punti che Rebhahn enuncia e mi lascio un po' di tempo per immaginare una risposta che spero venga da un dibattito tra di noi. Tuttavia ci sono delle criticità che voglio anticipare anche per introdurre il testo. Rebhahn propone una tassonomia sociologica del compositore di oggi. Tuttavia questa tassonomia si basa su alcuni argomenti che non condivido appieno, in particolare nella nozione del "conservatore". Secondo Rebhahn, il compositore conservatore è quello che dedica il suo tempo a affinare e perfezionare il suo linguaggio diventando così un artigiano senza idee. Non condivido il punto per due ragioni che enuncio molto brevemente lasciando aperto il dibattito. La prima: la fattura musicale non può e non deve essere un problema, anzi. Si possono dire tante cose, piene di contenuto, con molta eleganza. La seconda: mi sembra che Rebhahn limiti il campo della creazione musicale in qualcosa di più stretto e definito teoricamente, facendo così la stessa mossa che si fece riguardo alla Neue Musik del dopoguerra.

Su un punto sono invece assolutamente d'accordo. La categoria di "musica contemporanea", morta e desueta, deve lasciare il posto a un maggiore intervento dei compositori nella realtà sociale e nel rapporto con le altre arti. Penso che la situazione economica e sociale attuale abbia bisogno di nuovi contenuti ai quali noi dobbiamo contribuire. 

Per il momento mi limito a esporre gli argomenti dell'articolo sperando che sia un punto di dibattito in Italia e che ci colleghi a un dibattito che ha luogo in oggi principalmente in Germania. Il tema è aperto a tutti e implica il lavoro di noi tutti. Ecco il riassunto.

Il problema della categorizzazione del fare musicale è riconosciuto da tutti gli artisti. Il fatto di tagliare ogni appartenenza a una forma d'arte è invece poco comune. Come Beuys dichiarava le sue "dimissioni" dall'arte, oggi alcuni compositori fanno lo stesso con la musica. In genere i compositori tendono a odiare la definizione di "musica contemporanea". Senza sapere esattamente da che cosa allontanarsi, i compositori non vogliono essere associati allo stile fiorito e "bello" di una parte cospicua della musica di oggi, una musica giudicata senza necessità, dimostrativa, feticista, ecc. Partendo da questo argomento molti dicono che una buona parte dei lavori di oggi non vanno oltre l'artigianato. La conseguenza di questo atteggiamento è il tipico apprezzamento parziale, in cui sostanzialmente non si parla del brano, che di solito non si ama, ma gli si attribuisce una buona fattura, orchestrazione, forma, colori: la qualità del lavoro è confusa con la tecnica del compositore. In questo modo la "musica contemporanea" perde il suo statuto di arte, entrando a fare parte dell'artigianato, come per esempio la cucina. L'associazione tra haute cuisine e tale tipo di musica permette a alcuni giovani compositori di essere sussunti sotto l'etichetta "musica contemporanea". Tuttavia una buona parte della giovane generazione rinuncia a affrontare temi tecnici, il "come" un pezzo è fatto, ma piuttosto cerca di vedere il "perché", guardando alla sostanza estetica dell'oggetto. Nella generazione più giovane coloro che fanno carriera con bei brani ben fabbricati sono in numero sempre minore. Essere compositore significa sapere essere soli e emarginati dal mondo dell'arte. Questa specifica situazione impone una riflessione sulla posizione sociale del compositore; nella seguente tassonomia vi troviamo i tratti caratteristici. 


Il conservatore
La musica del compositore conservatore deve essere sempre "nuova". Il compositore smonta e rimonta l'alfabeto seriale avanzando poco a poco verso un mondo sonoro individuale che gli permette di definirsi come artista ma contemporaneamente di continuare a appartenere alle istituzioni che la sua scrittura fa avanzare. Questa attitudine fa il paio con il sistema di commissioni gestite principalmente dagli ensemble, che impone un certo tipo di strumenti e tecnologie. 
La nuova generazione, cosciente di questo stato economico-sociale del compositore, si oppone al tipo "conservatore": l'accettazione della strumentazione tradizionale è compresa come una simbiosi forzata che ingabbia il compositore trasformandolo in una parte della catena alimentare delle istituzioni. 

Il marchio
Sopravvivere come compositore significa stabilire un marchio. I nomi sono meta-informazioni che si rivolgono a tutto l'apparato non musicale dell'opera d'arte. Questo comporta un paradosso: stabilirsi come un "brand" significa avere una visibilità che implica il riconoscimento e la  programmazione nelle istituzioni, ma che contemporaneamente obbliga il compositore a ripetersi. Il circolo vizioso del mercato della musica contemporanea crea un circuito di "indispensabili", legati alle scuole di provenienza e ad altri non ancora stabiliti che devono costantemente inventare per trovarsi un posto. 

Il bricoleur
Nessun artista lavora nel vuoto storico. Tutti devono passare attraverso l'assunzione di codici e pratiche preesistenti. Rispetto a questa formazione troviamo gli epigoni, che continuano nella variazione delle formule apprese, e gli originali, che invece assumono un punto di vista critico verso il loro percorso. L'artista creativo, seguendo Sloterdijk, è colui che eccede ciò che è appreso positivamente. In questo senso l'artista creativo è parte della logica espressa da Lévi-Strauss nel suo "Il pensiero selvaggio": il bricolage. Gli elementi della tradizione sono rimescolati originalmente dall'artista creativo che crea per combinazione nuove inaspettate forme. 

Il consumatore

Se il compositore non vuole limitarsi al ruolo di conservatore, il suo coinvolgimento nella realtà sociale è obbligato. Utilizzare il materiale sociale, mediatico come parte del processo compositivo è fondamentale per entrare in relazione con la macchina sociale che fa girare il mondo della musica contemporanea.  Una musica che vuole avere a che fare con la società deve per forza di cose conoscere il tipo di società a cui indirizzarsi. Se il desiderio latente dei giovani compositori di rassegnare le dimissioni dalla musica contemporanea non è semplice moda, una delle domande urgenti alle quali rispondere è quale posto occuperà nel futuro immediato l'attività del compositore. È necessario che la musica asserisca una posizione in linea con le discipline artistiche. La distanza dei compositori dalla loro professione offre l'opportunità di liberare la musica contemporanea dall'isolamento. Il desiderio di reagire ai cambiamenti del sistema di produzione e fruizione musicale, e di non tollerare le indifferenze, svela il profilo di una pratica compositiva che sia connessa al presente: una musica contemporanea attuale.

13 commenti:

  1. gentile maestri,
    a me pare che vi sia una contraddizione in quanto affermato da rebhahn: nel considerare il "conservatore" alla ricerca di un "nuovo" basato però sull'accettazione di strumenti appartenenti alla tradizione (seriale), laddove invece il "bricoleur" creerebbe "inaspettate forme". mi viene in mente una composizione di molti anni fa, "anfrage" per 2 pianoforti di paolo castaldi, che nel 1963 - esattamente 50 anni fa - si poneva come un "bricolage" di materiali affastellati da tutti gli ambiti possibili: letterari come musicali, nel tentativo di un superamento della nozione di "buon artigianato" (ma ricordiamo che bortolotto definì "poetica artigiana" quella di aldo clementi, ed in questo mi domando seriamente se qualcuno vi scorga qualcosa di sminuente). eppure, a sentirla oggi, suona come una reazione al serialismo in funzione di una pratica che si traduce solo nella gestualità. intendo dire che per uscire da un'accademia si corra il rischio egualmente d'entrare in un'altra, e che il bisogno di "novità" sia ancora una nozione appartenente proprio all'idea di "avanguardia" in senso stretto.
    una "musica contemporanea attuale"? ma il coinvolgimento nella realtà sociale non è per tutti, mi domando, un fatto già esistente? mi pare che oggi sia impensabile la figura del compositore "buon selvaggio" (tornando al riferimento allo strutturalismo di lévi-strauss) che scrive nella propria stanza senza alcun contatto col mondo, dédito solamente ai rivolti dei retrogradi. che esista poi un isolamento effettivo, è altra cosa, ma va cercato non tanto- credo- nel "mancato coinvolgimento nella realtà sociale", quanto nella mancanza di coinvolgimento DEI compositori NELLA realtà sociale. e non per colpa dei compositori.
    con i miei saluti e complimenti,
    dario agazzi

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  2. Caro Dario Agazzi, grazie per il prezioso commento. Sono in buona parte d'accordo con lei e un po' lo avevo anticipato nel cappello introduttivo. Il rischio del discorso di Rebhahn è quello di riportarci a momenti in cui qualche cosa diventa vietato e semplicemente inadeguato (come il tonale tra i seriali per esempio). Sul fatto che i compositori non abbiano responsabilità dell'isolamento in cui si trova non saprei risponderle con chiarezza. Io come altri vivo l'isolamento e questo blog è nato anche per vincerlo. Per il momento nella nostra generazione non ci sono stati tante occasioni di incontro tra compositori, e spesso tra italiani ci siamo incotrati all'estero. Forse è un caso, lo devo ammettere. Ma se non lo fosse significa che qualcosa non va nell'organizazione della musica contemporanea in Italia e li un po' di responsabilità forse ce l'abbiamo. Un caro saluto e spero di continuare a leggere i suoi commenti. Eric Maestri

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  3. caro eric maestri,
    sono molto lieto di aver trovato questo blog, per caso, e di aver constatato - non senza amarezza - che la nostra (mi permette questa libertà?) generazione (nata fra gli anni 70 e 80) rappresenta, secondo le parole di giacomo manzoni in altro contesto "un'armata brancaleone in cui ognuno va allo sbando per conto suo" (qui il link all'intervento: http://heinrichvontrotta.blogspot.it/2011/06/giacomo-manzoni-pensare-musica-oggi.html). alla quale questo blog mi pare cerchi di fornire un confine importante.
    tornando al rischio di una categorizzazione come quella di "inadeguatezza" (nonché l'ormai vieta distinzione fra tonale e seriale), senz'altro l'intervento di rebhahn rischia di ricondurre a questo. fra l'altro, non si può non notare -stando a questa suddivisione netta delle figure dei compositori- un'eco abbastanza retorica di quella divisione proposta da adorno nella sua "introduzione alla sociologia della musica", allorché tenta una ghettizzazione dei "tipi di ascoltatori musicali", non crede anche lei? con i miei saluti,
    dario agazzi

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  4. Caro Dario Agazzi. Non conoscevo l'intervento di Manzoni. Grazie. Sarà argomento di sfogo! Quello che Rebhahn è anche per mer molto simile a quello che faceva Adorno. La tentazione di ridurre il campo a poche categorie è forte ancora oggi. Chiaramente non possiamo abbandonare l'idea di cercare di nominare le cose. Però nell'articolo c'è la definizione del "conservatore" che mi intimorisce. Quella di Rebhahn resta una descrizione, che non mi sembra normativa, ma nasconde comunque un pregiudizio. Il fatto di volere continuare a fare musica e quindi a occuparci di problemi strettamente musicali non significa per forza essere conservatori. Invece ho paura che coloro che lavorano ancora con le note potrebbero essere messi quasi tutti in quella categoria. MI guardo Manzoni. Eric.

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  5. Alle tipologie di ascoltatori preferisco le tipologie di ascolto (tipo quelle di Pierre Schaeffer)! Leggere Manzoni mi fa quasi pensare che in fondo noi compositori siamo "sottoproletariato": non organizzati e senza coscienza di classe.

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  6. Ricordo di aver sentito Manzoni a Firenze dire esplicitamente che i giovani compositori italiani sono solitari e che fanno ciascuno per sé. Mi è sembrato allora, e mi sembra tutt'oggi, una completa travisazione della realtà (causa poca conoscenza dei giovani compositori italiani? non saprei proprio). E mica solo per questo blog. Il problema è, come dice Eric, che i fulcri di produzione e aggregazione che riuniscono i giovani italiani si ritrovano quasi sempre all'estero. E allora c'è un problema...

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  7. caro eric,
    credo che sia una definizione esatta: un sottoproletariato scaturito dalla borghesia (i tempi in cui uno haydn poteva essere scovato in una famiglia composta da un carradore ed una cuoca, a rorhau, son passati da un pezzo), la quale non ha saputo come reagire a questi "bubboni" (i "compositori" di musica "cacofonica") se non relegandoli al ruolo di perpetuo "memento mori" o a quello di descrittori implacabili del "brutto che ci circonda" (a quando, a codeste categorie, si aggiungeranno nozioni quali "ironia", "ludico"?). adorno divide le tipologie degli ascoltatori come in un erbario di piante morte, indossando il cilicio (à la frank martin...) per poi liberarsene quando gli pare. sulla questione del "conservatorismo" di chi adoperi "ancora" le note, ci sarebbe da animare un ampio quanto appassionante dibattito, ma vista l'ora cederò la staffetta. a presto, e un caro saluto,
    dario agazzi

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  8. Assolutamente! Bisognerebbe animare un grande dibattito sulla questione. Se l'attualità musicale, o come dice Rebhahn, una "timely New Music" significa rinunciare alla musica allora forse tocchiamo un limite già toccato.

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  9. desideravo rispondere all'intervento esatto di ghisi: in effetti, manzoni ha ormai (lo affermo a seguito di un recentissimo colloquio) perso interesse nei confronti della situazione dei "giovani compositori italiani". anche perché lui, con "giovani" - in tale colloquio - intendeva riferirsi a musicisti come billone, verrando, etc. ricordo che parlasse di "commissioni all'estero che permettono di vivere ai compositori". realtà ormai inesistente, mi pare, per i "giovani compositori".
    in riferimento all'altra esatta affermazione di maestri: "allora tocchiamo un limite già toccato". come non essere d'accordo? si erano già tentate le strade di tutti i possibili accantonamenti del problema compositivo (mi riferisco all'intervento di karkoschka in "notation in new music"): musica da leggersi solamente, antimusica, riduzione alla sola pratica del gesto (penso a schnebel, che oggi si è convertito però ad un curioso minimalismo). mi chiedo perché in altri campi - ad esempio negli odierni cinema e letteratura - non si sia rinunciato in modo così marcato all'utilizzo dei propri mezzi linguistici. in fondo, tutte le conquiste dei pionieri di darmstadt non sono state utili e comunque impiegate? non mi pare che vi sia stato un solo filone inesplorato, compresa la pratica del bricolage. il problema credo che sia di tipo prospettico: la necessità impellente per alcuni di vedere un progresso ed un superamento degli eventi. citerei un passo di renato barilli: "del resto anche supposto che qualcuno si ostini nella presunzione di andare avanti, potrebbe accorgersi a un tratto di essere stato risucchiato nell'orbita già percorsa: dovrebbe cioè ammettere che lo spazio è curvo, e che oltre un certo segno l'andare avanti è un'illusione, in quanto si trova a esser dirottato in una traiettoria parabolica, o meglio ancora, elicoidale." ("la ripetizione differente")
    saluti,
    dario agazzi

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  10. Questo può contribuire al dibattito:
    http://classical-scene.com/2013/04/18/music-mattered/

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  11. per seguitare questo interessante dibattito, fermatosi tempo addietro al link inviato da eric, desidero inviare quest'altro link, inerente un commento ospitato sulla rivista per la quale ho scritto, dissonance/dissonanze.ch, del compositore tedesco johannes kreidler, del quale si parla proprio nel link di eric.

    http://www.dissonance.ch/en/archive/main_articles/195/abstract/it

    si tratta dell'abstract italiano, l'intervento essendo in tedesco. penso che sia uno spunto importante che si ricollega con quanto già detto da andrea nel post sui "tagliatori di diamanti". kreidler si pone delle domande sull'antinomia "elitario vs popolare".

    vostro, dario agazzi

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  12. Ciao Dario,

    c'è modo di visionare online l'intervento completo? (anche se non in italiano)

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    1. ciao daniele, certamente, ecco il link:
      http://www.kreidler-net.de/theorie/elitaer-populaer.htm
      google traduttore potrà essere utile.
      dario agazzi

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