domenica 22 luglio 2012

Valerio Murat - Ailo


Ailo è il nome di un demone-donna finlandese. Di notte diventa lupo e va a caccia di uomini; per mangiarli ovviamente. Ailo è il titolo del lavoro che vi presento questo Lunedì, l'autore di musica e video è Valerio Murat, opera datata 2011. Generalmente non ritengo necessario presentare il compositore, preferisco parlare esclusivamente dei pezzi, talvolta però la cifra biografica aiuta a decifrare meglio, in questo caso ritengo di dover spendere qualche parola sul percorso di questo artista, perché forse aiuta a capire. I primi esordi di Valerio sono quelli di un giovane compositore di successo, in pochi anni vince alcuni dei premi più importanti al mondo. Decide di non inserirsi nella filiera delle grandi istituzioni accademiche, rinuncia al conforto che viene dall'avere (talvolta a tutti i costi) il "nome che gira" nei "posti giusti" della musica contemporanea, che comunque lo cerca e lo osserva: come si osservano le schegge per fare un reset di sistema.
La questione del contesto è stata già trattata in questo blog e lo sarà ancora, l'approccio e la postura di Valerio sull'argomento mi sono sembrati da sempre molto genuini e pratici. Nel suo percorso leggo quanto segue.

Non cerco contaminazioni con altre sfere artistiche, mi metto direttamente in gioco e le faccio io stesso. Produco arte policontestuale in modo da poter salvaguardare la mia autonomia sulle linee di ricerca (non imposte o suggerite dunque da una istituzione forte) e in modo da non dipendere da circuiti dalle indubbie pulsioni e aspettative estetiche. Lavoro principalmente con i miei amici.

Tutto ciò ha due effetti, il primo è di natura esterna: il nome Valerio Murat non è conosciuto ai grandi maestri quanto i nomi degli allievi degli stessi; l'ironica coscienza si manifesta nella biografia che diede all'Ensemble Intercontemporain in occasione della prima di un suo lavoro realizzato all'IRCAM, eccone l'inizio:
"Valerio Murat inherits the art of war and his tenacity in fighting from his forefather Joaquim Murat.
A mysterious aphasia, which persisted until he was five years old, pushed him towards the secrets of memory and images.
From the crabs and the dragonflies he learnt the qualities of constance and lightness. On the 5th of December 1981, at the age of five, he composed the latin motto Festina Lente. When he was nine, on the 17th of December 1985, he pronounced for the first time his own name. The on-lookers became terrified.".

Il secondo è di natura interna all'arte che fa e così ci avviciniamo al lavoro: si tratta spesso di opere non facilmente catalogabili (arte intermediale - video arte - flash opera...) e che sono concepite in funzione adattiva: Ailo si può "performare" in versione video+elettronica, pianoforte+video+elettronica, voce recitante+video+elettronica, etc... Intendiamoci, nella pratica della musica elettronica sono frequenti le versioni adattate (da 4 canali a 2, da live a tape e così via) ma nel caso specifico, la possibilità dell'adattamento è interna alla concezione del lavoro; una distinzione sottile, ma che forse è vicina al paragone tra i film nati in 3D e quelli riadattati per il 3D.

Veniamo ad Ailo. Quanto sto per scrivere non vuole essere una descrizione dell'opera quanto piuttosto un elenco delle cose che mi piacciono.
Quattro sono gli elementi costitutivi: elettronica, pianoforte (non trattato), voce recitante e video. Valerio parte, in genere, dalla parola; in particolar modo dal "testo performato" (lavora e collabora con Giovanni Fontana e la sua poesia verbo-sonora).

Prima di tutto dunque il testo in Suomi e il suono dello stesso. Il testo ci parla di una storia, narratività; il tono della voce è (quantomeno all'orecchio italiano) generalmente fisso, anche se a tratti si increspa compostamente, quasi a tradire l'aspetto istintivo e animale di Ailo che è doppia. La voce non è trattata elettronicamente e questo è un dato saliente.
Il pianoforte sembra seguire questi due aspetti, traducendosi in una scrittura essenziale, netta, fusa ma non confondibile con l'elettronica e al tempo stesso freneticamente controllata. Il ritmo non è trama o texture, è dichiaratamente orizzontale, racconta. L'aspetto narrativo è trattato in maniera frontale: non descrive, certo; ma nemmeno si pone analiticamente di fronte al mito, lo espone in superficie e in modo facile, rievocando senza tradire la spinta delle cose che accadono.
L'elettronica è tra il video ed il pianoforte, è chiaramente funzionale all'ambiente veneziano (con i crepitii del legno delle imbarcazioni ed altri chiari riferimenti) ed è al tempo stesso di sostegno alla percezione del tempo che va, sempre sul dettaglio dell'istante.
Il video è portante, principalmente nel trattamento dei tagli e nella gestione del colore; dove il flusso si ferma si ferma tutto.

In definitiva l'aspetto che trovo notevole è la gestione degli equilibri tra le componenti. C'è un elemento di sacrificio del dettaglio timbrico strumentale a favore di un forte trattamento visivo, c'è una drammaturgia chiara e compatta, c'è un'elettronica che tradisce l'affetto per determinate scuole acusmatiche. In sottofondo vedo il clip musicale e il melodramma e un certo disinteresse per il contesto in favore di un limpido, semplice e forse utopico meccanismo del fruire.

Se la musica contemporanea non fa mondo a parte ed è arte, allora Valerio contribuisce ad abolire la frontiera tra la stessa (mus. cont.) e l'arte contemporanea. Fatti come: l'aprire una galleria d'arte intermediale a Berlino (con pulsioni sul recupero del concetto alto di artigianato musicale), fare personali, fondare un centro di produzione ad hoc; identificano a mio avviso una postura rara che non sacrifica il lavoro di ricerca musicale ma che anzi lo arricchisce. Coraggioso e da seguire.

15 commenti:

  1. Mi piace la tua ultima sentenza Marco: "coraggioso e da seguire".
    Spulciando in rete ho avuto modo di vedere e ascoltare altri lavori di Murat. Si tratta sicuramente di una delle voci più interessanti nel panorama italiano (e non solo) della musica attuale. Freschezza nell'immaginazione, spiccato senso del colore e dell'impasto timbrico. Gesti precisi ed essenziali. Ma cosa trovo di estremamente nuovo e interessante e la capacità di interagire, anzi di "dialogare" con il video, e di inglobarlo perfettamente in una forma artistica completa. Non penso infatti che si possano scindere le due cose, ovvero parlare di video o di musica applicata, ma si tratta di un unicum ben congeniato, che attraverso i suoi respiri, fremiti, accelerazioni, frenate contribuisce a tenere viva l'attenzione su tutte le componenti. Senza dubbio un compositore da seguire.

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  2. Mi piace l'approccio pratico. In un certo senso Valerio colma il gap tra compositore e musicista. Non fraintendetemi: intendo dire che l'artigianato musicale è qui portato a una forma altissima. Ci si "sporca le mani" facendo musica, facendo video, facendo in sostanza ciò che si vuole, ma sempre mettendosi in gioco in prima persona e completamente. Noto con piacere che approcci distinti spesso convergono a questo stesso punto, e nomi molto diversi rientrerebbero nella categoria del "fare musica" con artigianato: dall'esplorazione sonora di Billone, ai lavori di Rat Ferrero, di cui si parlava recentemente.

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  3. Ciao. Concordo pienamente. Forse il parametro della messa in gioco, anche se complesso ca cogliere, è sempre preso in conto nel giudizio di un pezzo. Almeno a me piace un pezzo in cui il compositore si mette in gioco, anche personalemente. Molto artigianato nel pezzo di Murat, gustoso.

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  4. Ciao. Sarà la giornata ma oggi non mi piace più così tanto. Anzi. Eletroacustico e video ben fatto. Continuo a pensare che c'è molto artigianato nel pezzo, forse troppo desiderio del compositore di confrontarsi con uno stilema (errore orrore che anche io mi perdo nei pomeriggi e giornate per poi dirmi, ma perché??). Però dietro lo stilema come dietro la perfezione tecnica si nasconde la paura e il vuoto. Mi aggrappo alla perfezione, alla linea curatissima perché non ho tanto da dire, o sono talmente sfiduciato che sfuggo dalla realtà dentro la musica, anticamera della sordità e della depressione. Pensieri in movimento.....

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  5. non capisco bene cosa ci sia di male nell'artigianato (quando non è furbo). Sinceramente detesto un approccio che tende a dargli una accezione negativa. La paura e la vertigine del vuoto a me sembra molto più nobile quando trattata con puntualità ed esattezza (vedi ad esempio Bulfon). Per contro nell'indefinito che spesso si mescola alla suggestione compiaciuta trovo il rischio di un generale impoverimento. La questione dello stilema poi... non eri tu che incitavi a "schierarsi"?.. il tuo commento rischia di infervorarmi! continuiamo!

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  6. Interessante, ne approfitto per lanciare una riflessione che esula dall'esempio musicale specifico. Secondo me bisogna parlare di alcuni concetti di fondo e dei valori che attribuiamo a loro, e su come interagiscono fra loro per generare qualcosa di artistico - nella musica. Nel caso dell'artigianato - perché di questo si parla (ma potremmo estendere il discorso anche ad altri concetti) - per me non è il criterio che mi fa dire che stia ascoltando un'opera d'arte. Un pezzo può essere ben fatto ma non ci dice nulla, oppure fatto meno bene ma invece ci dice qualcosa. Forse attribuisco al "dire qualcosa" un valore più importante di quello dell'artigianato, che a mio avviso rimane uno strumento. Ecco, proviamo magari a riflettere su alcuni concetti di cui parliamo stesso: "stile", "artigianato", "senso della necessità", etc.. e vediamo di capire cosa e perché per noi è importante. ("tbc")

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  7. Concordo con te Andrea e mi scuso per il commento che è scritto proprio male!
    Quando scrivo "lavoro significa anche rinuncia" intendo proprio dire che il "fatto meno bene" è per me un elemento saliente e che credo rientri in pieno in una logica artigiana. L'assioma secondo cui il "ben fatto" vuol dire artigianale e "artigianale" vuol dire vuoto non mi appartiene.
    Svalutare una pratica per sopravvalutarne un'altra nemmeno. Gli artigiani sperimentano. La mia passione per l'argomento mostra quanto per me sia importante. Il gioco di assiomi di cui sopra è a mio avviso in pericolosa espansione ed è concausa di ciò che non mi piace ascoltare tra le cose che girano ora.

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  8. Io non parlavo di assiomi. Volevo però sottolineare una sensazione personale legata al fatto che mi trovo a sentire che pensare solo all'oggetto, il pezzo, è il segno, per me!!, di una mancanza, di una capacità di dire e di incidere con un contenuto estetico e musicale forte, é disincanto e nostalgia, in cui ci si può anche crogiolare all'infinito.

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  9. @Marco. Infatti è esattamente quello che penso. Si legge chiaramente dal tuo intervento che col lavoro - artigianale - si trova e si cerca, si costruisce e si disfa. E' un campo di prova, su cui ti provi. Questo mi piace molto. Ho solo paura quando l'artigianato si svuota di questo lavoro, che in fin dei conti è portatore di vita, perché genera - spesso "fra le doglie del parto". Secondo me non bisogna perdere di vista la storia che porta con sé il lavoro. Anche quella ha un suo peso. Il gioco di assiomi serve per parlare di quello di cui ora stiamo discutendo, e quindi lo prendo come un gioco :). Ecco, forse ho individuato un punto che a me sta a cuore, il lavoro... (tbc)

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  10. La tua sensazione è mia ed è una pulsione d'artista, ma per me (e mi sembra in questo caso anche per Murat) lo scalpello con cui incidere è il pezzo. Ci si può crogiolare benissimo anche senza attrezzi in mano (ciò mi sembra molto più nostalgico e molto più attuale), ma c'è chi alla tua pulsione risponde non partendo dal sacrificio del callo; io confido in questi che, se artisti, saranno comunque custodi di slancio fino alla fine. Chi usa il cesello non è detto che non sappia usare l'ascia. Io nel vedere Murat che tempera la matita all'inverosimile e tratteggia un Ailo vedo un compositore che quantomeno può rilanciare...

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  11. Bisogna stare attenti che l'artigianato non diventi la fuga, il fine e non il mezzo. Su questo tutti concordiamo. Una delle cose che mi colpi molto, anni fa, era di sentire parlare Lidia Ravera della sua depressione, personale e artistica. Parlava di Flaubert, l'artigiano per eccellenza e della sua riscoperta. Lei, come scrittrice si era trovata a apprezzare i lavori di cui percepiva le ore di lavoro e il sudore. Anche io sono a questo punto, ma mi rendo anche conto che è una velata depressione e tristezza che mi accompagna in questi giudizi.

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  12. Secondo me nel caso specifico l'artigianato non è affatto una fuga, anzi è l'aspetto più interessante del brano. Sporcarsi le mani, tenere i piedi per terra, entrare e cambiare i "meccanismi di produzione"... tutto questo per me fa parte dell'artigianato, ed è un aspetto che del pezzo mi sembra molto interessante. Poi, ma questo è completamente personale, di Valerio preferisco, rispetto ad Ailo, lavori come Nuvolari o Berruti, dove ancora l'aspetto dell'artigianato è ancora molto presente.

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  13. Capisco il nodo che si crea sulla componente tecnica del brano, in effetti la proposta di questa opera (che è più recente di Nuvolari e Berruti) voleva un po' stimolare su questo punto. La domanda che mi pongo è se la cifra del compiacimento sul piano tecnico sia, ai giorni d'oggi, un parametro accostabile ai concetti di "nostalgia" o rinuncia ad una utopia. Volando un po' più basso... a me sembra che manchi in Ailo l'elemento che lo rende nostalgico: si tratta di un mood decadente - postmoderno (chiamiamolo come ci pare) che rende tutto grigio e di cui non vedo traccia. La rinuncia ad un confronto esclusivo o predominante con gli slanci dei grandi del passato (che poi in verità ci sono...) secondo me è un gesto di alleggerimento, di freschezza. In questo senso Ailo mi piace, appunto perché "ci prova" in un punto importante a tutti noi: quanto tenere - quanto lasciare e, soprattutto, in che modo (nuove categorie) declinare le utopie che abbiamo in eredità. La scelta totalmente frontale e lineare della forma narrativa, a mio avviso suggerisce la piena coscienza di Murat, che dopo Nuvolari & Co. prova a dare altre risposte (o suggerire altre domande), e questo atteggiamento mi piace, forse perché mi ci rivedo un po'. Abbiamo spesso parlato di "togliere" come ricerca di una sorta di essenzialità, e spesso questo gesto è stato qui inteso come atto necessario e traumatico, in definitiva qui c'è un "andare all'osso" ma con un sorriso stampato in bocca, con il divertimento del fare (non solo con il sudore del lavoro). In questo senso lo trovo stimolante e mi fa pensare...

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  14. ... ma quando parlate di artigianato, qui, in questo contesto, davanti a questo lavoro, che cosa volete dire? Spiegatemi meglio...

    Io in quest'opera sento sicuramente, come in Rat Ferrero, una volontà di mischiare le carte dei generi musicali che ammiro moltissimo (solo io vedo nel jazz modale il riferimento linguistico primo, e forse unico, della scrittura del pianoforte?) e che presuppone, per forza di cose, una formazione musicale che ha abbracciato esperienze diverse: questo è ovviamente un "saper fare", ma mi sembra molto distante dal ricorso acritico a meccanismi ben collaudati.

    Sento una qualità del suono elettronico che, ancora, è artigianato, ma di un tipo molto diverso da quello che sentiamo di solito ai concerti dell'IRCAM: è l'artigianato del producer di musica pop e del sound designer cinematografico - un artigianato che ha ben chiara la distinzione tra mezzo e fine e che per questo motivo merita il mio più profondo rispetto.

    Non sento invece l'artigianato di chi sa scrivere una partitura che sicuramente non conterrà errori di orchestrazione, che sicuramente strapperà l'applauso di chi vuole ascoltare nuova musica senza pericoli, che probabilmente vincerà qualche concorso e porterà un po' di fama, gloria e nuove commissioni al suo autore: l'artigianato di chi sa cosa ci si aspetta dalla "musica contemporanea" e sceglie di realizzarlo (e allora vi giuro preferisco Madonna, almeno ha l'onestà di non fingersi Coloro che Portano in Sé la Verità, e poi posso cantarla in macchina). Qui dentro per fortuna non lo trovo proprio.

    Questo vuol dire che "Ailo" è il mio pezzo ideale? Probabilmente no: la musica che mi segna è di solito più ruvida, o più dolce - sento la mancanza di una parola che mi trafigga, o che mi illumini. Armonie neo-modali ed elettronica in technicolor, prive di contraddittorio, rischiano di suonarmi un po' salottiere. Ma questa è un'altra storia, e poi forse è un problema mio...

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